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Confini artistici eroticamente pornografici

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Posso scommettere che la maggioranza di voi ha aperto questo articolo semplicemente a causa del titolo e dell’anteprima.

E come darvi torto? La pornografia e l’erotismo attraggono chiunque, di qualsiasi età, qualsiasi sesso, qualsiasi orientamento sessuale.

È quell’argomento ancora oggi considerato assurdamente tabù, nonostante tutto, che affascina proprio per il suo senso di “proibito”.

Il che mi sorprende: oggigiorno si discorre con facilità di true crime, di dettagli macabri, di forme di violenza indicibili, di attuali cruente guerre, di droga, di armi, di morte, ma appena si menzionano una vagina o un pene, ecco che molte persone sembrano scandalizzarsi o provare una sorta di imbarazzo, come se parlare di ginnastica da letto fosse un crimine o qualcosa di cui vergognarsi.

Lo scopo di questo mio articolo non sarà incentrato sulle riflessioni morali e psicologiche inerenti al tema della sessualità, bensì un viaggio, per sommi capi, in quella che è l’arte erotica, la rappresentazione del porno e dell’eros nel mondo artistico, la sublimazione del piacere su carta, che sia essa pittura, fotografia, cinema o letteratura.

“Per sommi capi” perché si tratta di un viaggio lungo, che ha origine sin da quando l’Uomo ha capito di poter elaborare le prime pitture rupestri… e sin da quando ha capito a cosa gli servissero i genitali.

Ma prima di cominciare questo percorso, a mio avviso è doverosa una piccola dissertazione in merito alla differenza tra pornografia ed erotismo, analizzandone i significati.

Il termine pornografia deriva dall’unione delle due locuzioni greche “porne” (prostituta) e “graphè” (disegno, scritto, documento), dunque letteralmente “disegno/scritto/documento riguardo le prostitute”. Anche se, in realtà, il termine “pornografia” venne coniato in maniera vera e propria, per la prima volta, dallo scrittore francese Restif de la Bretonne, con il suo “Le pornographe”, un trattato sulla riforma e sulla regolamentazione della prostituzione, risalente al 1769.

Con essa, in qualsiasi campo, si intende la rappresentazione esplicita di genitali o di un atto sessuale.

L’erotismo, al contrario, prende spunto da Eros, il dio greco dell’amore e rappresenta tutta quella serie di azioni, visioni o manifestazioni di ogni sorta (come un profumo, uno sguardo e via dicendo), che attivano il desiderio sessuale, che mettono in atto un’attrazione verso l’oggetto di interesse. Ne consegue che, seguendo questa linea guida, ciò che è erotico non è propriamente esplicito, ma è quel qualcosa che viene prima dell’atto in sé. Erotico può essere la silhouette del corpo di una donna in penombra, così come può esserlo un semplice sorriso.

Non a caso, è proprio l’erotismo e non il pornografico, a essere stato oggetto di discussione da parte di un buon numero di filosofi e pensatori.

Ne parla Platone nel suo “Simposio”, per esempio, equiparando la forza del desiderio e dell’attrazione sessuale a quelli di una calamita, in quanto scaturiscono da una curiosità nei confronti dei corpi altrui. Una curiosità che, tuttavia, non deve necessariamente sfociare nell’amplesso. E infatti, è proprio da questa riflessione che nasce l’idea di “amore platonico”.

O ancora, Jean-Paul Sarte descriveva l’erotismo come un gioco, dove la concessione del proprio corpo non era da definirsi alla pari di una mera e banale mercificazione della carne, quanto a un atto di libertà.

E anche il buon vecchio Socrate tendeva a elevare l’erotismo a tema quasi sacro, una delle tante strade che conducono al Vero e che vanno oltre la semplice comunità o alla semplice unione di due amanti. Per lui, la grandezza dell’eros era pari all’ideale di Bellezza, di Vita, persino di Dio, perché trascende l’essere umano.

Un gran contributo, tra i pensatori, lo si deve alla francese Simone de Beauvoir: nel 1949, pubblica un saggio intitolato “Le deuxième sexe” (“Il secondo sesso”, in italiano), in cui traccia una sottile linea di confine tra eros, in quanto seduzione, e sessualità. La prima è la sublimazione della seconda, perché se la sessualità si concentra più sulla fisicità, la seduzione è la sua parte più pura, capace di trasmutarsi in arte e ritmo.

Beh, fino a qui sembra tutto chiaro. La pornografia è sesso esplicito, mentre l’eros è la raffinata ed elegante seduzione.

Eppure, questa differenziazione nasconde una certa ambiguità, soprattutto nel campo delle rappresentazioni figurative. Non è sempre possibile, infatti, delineare una distinzione universale e netta tra le due parti.

Questo limite fumoso è dovuto al fatto che non tutti i popoli della Terra condividono gli stessi ideali: ciò che per alcuni può risultare volgare ed esplicito, può essere seducente e ammaliante per altri.

Dipende anche dalla cultura insita in ogni Paese. Si può dire che il Cattolicesimo abbia fatto un sacco di danni in questo senso, promuovendo una politica basata sulla censura e sul pudore. Eppure, la Bibbia è piena zeppa di sesso… Secondo quanto scritto in quelle pagine, siamo tutti frutto di incesti su incesti (perdonate la blasfemia).

Anche in merito a ciò, servirebbe un’argomentazione ben più elucubrante, ma non è questa la sede giusta per affrontarla, perché, altrimenti, avrei fatto prima a redigere un tomo e non un pezzo da pubblicare online.

Ordunque, partiamo dal principio.

Come ho detto sopra, le raffigurazioni di stampo sessuale hanno origini antichissime, risalenti addirittura al Paleolitico, con le statuine delle Veneri. Esse ritraevano donne con forme rotonde, un seno prosperoso e un fondoschiena marcato. Tuttavia, si trattava di statuette cerimoniali che richiamavano al tema della fertilità, dunque il loro scopo non era di “intrattenimento”.

A dire il vero, la prima messa in scena artistica di un rapporto sessuale vero e proprio sarebbe occorsa 7200 anni fa circa, scoperta nel 2005 in  Germania: una figura maschile china su una figura femminile, nominata “Adonis von Zschernitz”.

L’illustrazione erotica/pornografica cerimoniale la ritroviamo in un altro popolo del passato: i Moche, in Perù. Costoro erano convinti che l’aldilà fosse l’esatto contrario del mondo dei vivi. Pertanto, accompagnavano i defunti con vasi su cui spiccavano immagini di masturbazione, rapporti orali e anali, che nella realtà non portano ad alcun concepimento. Questo perché speravano che nel regno dei morti, tali immagini potessero convertirsi nel loro opposto, ovvero un atto fecondo. Cercavano di augurare fertilità e vita anche ai defunti.

L’erotismo e la pornografia cominciano a essere usati come una forma di intrattenimento, invece, nell’Antico Egitto: su quello che è conosciuto come “l’antico papiro di Torino”, una sorta di “Playboy” del 1300-110 a.C., sono illustrate tutte le posizioni sessuali che andavano di moda a quel tempo.

Ma è grazie al popolo degli Achei e dei Romani che si inizia a ragionare: le illustrazioni estremamente esplicite dei Greci sulle loro opere di ceramica a figure rosse e nere, sono celebri in tutto il mondo. Non si ponevano freni in quanto a rappresentazioni di ogni genere di rapporto sessuale, dall’omosessualità fino ad arrivare alla pederastia. All’epoca non esisteva un concetto di pornografia. Anzi, l’omosessualità e la pederastia erano ben accetti nella comunità, poiché la cultura di allora presumeva che l’uomo fosse la parte attiva e virile, mentre la donna quella passiva e subente (parlioamone…). I giovani ragazzi venivano spesso seguiti da uomini più maturi, che li iniziavano all’arte della guerra. Per loro era un rito di passaggio, un modo di diventare veri uomini. Non accadeva di rado che i soldati, durante le battaglie, tra uno stupro di una schiava e l’altro, si lasciassero andare a rapporti più intimi tra loro. Un po’ come viene spiegato nell’”Iliade” di Omero: tra Achille e Patroclo c’è un legame che non viene mai definito apertamente come amoroso o sessuale, ma che di sicuro va oltre l’amicizia.

Nell’Antica Roma, le raffigurazioni erotico-pornografiche sulle mura delle terme di Pompei erano molto famose. Rappresentazioni che “pubblicizzavano”, per così dire, i servizi forniti dalle cortigiane.

Ma i veri promotori dell’arte erotica del passato sono stati i popoli asiatici, in particolare il Giappone e l’India.

Con quest’ultima, credo di non raccontarvi nulla di nuovo, visto che si tratta della culla del noto “Kama Sutra”, un testo indiano indicizzato sul comportamento sessuale umano. Scritto dal filosofo Vatsyayana nel corso del VI secolo circa, contiene una miriade di immagini esplicite su ogni sorta di posizione sessuale. Vaginale, orale, anale, masturbazione, contorsioni degne del circo, ogni cosa!

In realtà, il titolo originale dell’opera in sanscrito sarebbe “Vatsyayana Kama Sutra”, letteralmente “Aforismi sull’amore, di Vatsyayana”. Ma il contenuto di questo manoscritto non sono viaggi mentali soggettivi, seguono bensì la cultura classica indù. Essa afferma che ogni essere umano dovrebbe aspirare alla completa realizzazione di sé, perseguendo quattro obiettivi:

 

  • Artha: il Benessere fisico ed economico
  • Karma: il Desiderio e il piacere
  • Dharma: il senso etico, vale a dire l’equilibrio tra Artha e Karma
  • Moksa: la liberazione dal mondo materiale e il raggiungimento della vera conoscenza di sé

Il Kama Sutra è composto da sette libri, ognuno dei quali si concentra su un particolare aspetto non solo della sessualità, ma anche della buona creanza, di come essere un bravo cittadino e della realizzazione di un rapporto armonioso tra uomini e donne.

 

  • Libro Primo: Osservazioni Generali
  • Libro Secondo: Sull’unione sessuale, dove si parla di baci, preliminari, orgasmi, parafilie, modi di amare, modi di abbracciare, modi di mordere e anche di sesso a tre
  • Libro Terzo: Sull’acquisizione di una moglie/Vergini, dunque dove si impara come corteggiare una donna
  • Libro Quarto: Le mogli, ovvero un manuale sul comportamento che la moglie dovrebbe adottare
  • Libro Quinto: Le mogli altrui, che sostanzialmente ti insegna come corteggiare e adescare le mogli degli altri (uomini, non usate gli insegnamenti del santone indiano come scusa per farci le corna, tanto non ve le perdoniamo comunque)
  • Libro Sesto: Le cortigiane
  • Libro Settimo: Sui mezzi, per far sì che due persone si attraggano/Erotismo esoterico

A dire il vero, il primissimo compendio di questa natura sarebbe quello redatto dalla poetessa greca Elefantide, durante il I secolo a.C. e recante il titolo “De Figuris Coitus”, dove le posizioni sessuali illustrate recano persino la spiegazione letterale.

Oppure, andando avanti per diversi secoli, più precisamente nel 1524, anche noi italiani elaborammo la nostra versione del Kama Sutra: “I Modi”, un libro scritto da Marcantonio Raimondi, dove venivano illustrate le sedici posizioni sessuali più in voga. Sfortunatamente, il pudico Papa Clemente VII (probabilmente convinto di essere stato portato dalla cicogna o di essere nato sotto una foglia di cavolo) fece distruggere tutte le copie esistenti di quel manoscritto.

Se in India c’era il Kama Sutra, in Giappone, menzionato prima, c’erano i cosiddetti Shunga.

Pensavate che dicessi hentai, invece no! Gli hentai sono una semplice evoluzione moderna degli shunga, la cui parola può essere tradotta come “pittura della primavera”. Un’espressione ovviamente metaforica, in quanto l’unico fiore raffigurato è quello tra le gambe delle donne.

La vera origine degli shunga si deve alle illustrazioni medicinali e ai ritrattisti erotici cinesi durante l’epoca Muromachi, tra il 1336 e il 1573. In Giappone, l’arte erotica cominciò a farsi sentire nel corso del periodo Edo, dunque tra il 1600 e il 1868, anche se tutte queste raffigurazioni furono inizialmente riservate a un pubblico di nicchia e all’ambiente di corte.

Ma cosa presentavano, nello specifico? I shunga erano xilografie in stile ukiyo-e, vale a dire una stampa artistica giapponese su carta che sfruttava matrici di legno.

I protagonisti di queste opere erano le geishe, le cortigiane e i kabuki (prostituzione maschile) dei quartieri a luci rosse. Le figure umane risultavano più grandi del paesaggio rappresentato e i loro genitali erano volutamente e notevolmente sproporzionati.

La natura erotica di questi lavori era da ricondursi principalmente a due fattori: il primo era la poca accessibilità a certi servizi da parte della popolazione comune, che quindi provava piacere e fascinazione quando entrava in possesso di queste figure; il secondo, i personaggi erano intenti in qualunque tipo di rapporto sessuale, ma con i vestiti addosso.

La nudità non era, infatti, qualcosa per cui ci si potesse scandalizzare, dato che era consuetudine girare come mamma ci ha fatti ed essere promiscui all’interno delle terme e dei bagni pubblici, molto frequentati a quel tempo. Non solo, l’erotismo in sé, nella cultura nipponica, è qualcosa di sacro, di naturale e meraviglioso. Il sesso è considerato come un atto fondamentale nella vita dell’essere umano. Non stupisce, dunque, la presenza di feticci e parafilie di ogni tipo nel Paese del Sol Levante, dove sia i manga di stampo ecchi (erotico non esplicito) che hentai (porno vero e proprio), non pongono paletti e sfociano persino nei rapporti sessuali con minorenni.

Il libro shunga più famoso, è sicuramente Utamakura”, traducibile come “I poemi del cuscino”, pubblicato nel 1788 da Kitagawa Utamaro, contenente dodici illustrazioni.

Persino il grande Maestro Hokusai ha contribuito con opere come “Il sogno della moglie del pescatore”, dove una donna si lascia andare a un amplesso con un polpo.

Possiamo dire che i shunga fossero il Pornhub in forma scritta (e decisamente più raffinata e artistica).

A ogni buon conto, i shunga passarono di moda con l’avvento di un’arte più moderna, che ritraeva al meglio il mondo reale: la fotografia.

Non passò molto tempo dalla sua invenzione, che subito i primi fotografi si resero conto del suo altissimo potenziale a livello erotico. Tuttavia, tutti i nudi realizzati in questo contesto vennero ufficialmente elaborati come semplici studi anatomici per pittori e disegnatori.

Esistono tante fotografie di stampo erotico, che vogliono mettere in risalto la sessualità del soggetto, come nel caso di Cindy Sherman (una delle protagoniste della mia prima tesi di laurea), che mette in mostra tutti gli stereotipi legati alla sessualità femminile per combatterli, in qualità sia di fotografa che di modella.

Ma se vogliamo elencare i nomi più autorevoli in questo campo, è impossibile non citare Marco Glaviano, Bruno Bisang, Conrad Godly, scomodando anche Helmut Newton (anche lui uno dei protagonisti della mia tesi).

Il primo è un fotografo di origini palermitane ancora in vita (è nato nel 1942), cofondatore dei Pier 59 Studios di New York, celebre per i suoi lavori nel settore della moda e per le sue collaborazioni con alcune delle top model più famose, come Cindy Crawford, Nina Morič o Claudia Schiffer.

La natura delle sue fotografie in bianco e nero, dove le donne sono al centro della scena, prendono spunto dalle statue femminili di una fontana della sua città natale, che osservava e immortalava già in gioventù. Da lì, il suo desiderio di rendere eterna e immutabile la bellezza delle sue donne, delle sue modelle, eterne e immutabili esattamente come quelle statue.

Bisang, fotografo di moda svizzero ancora in vita (nato nel 1952), invece ha un approccio molto più intimo con la donna, definendosi lui stesso un voyeur. Lavora con poche elette, con coloro che possono seguire senza problemi tutte le sue direttive senza pudore, per poter catturare attimi di vera intimità e sensualità.

 

Godly, fotografo svizzero ancora in vita (nato nel 1962) si spinge un po’ più in là, con foto più esplicite che segnano momenti sul confine del libertinaggio, come se le donne che ritrae stessero flirtando con la macchina fotografica.

Infine, Helmut Newton, uno dei più grandi artisti tra coloro che “scrivono con la luce” (1920 – 2004), che con le sue gigantografie di donne nude, gridava al girl power. Le sue modelle non hanno paura, sono donne che sanno di essere belle in quanto donne, che hanno un potere che va al di sopra di qualsiasi cosa e una forza d’animo innata. Non hanno pudore, ma non sono oggetti sessuali. Sono esposte nella loro intimità, ma con fierezza.

Naturalmente, parlando di fotografia, è impossibile non sfociare nel cinema. E anche qui vige una distinzione all’apparenza piuttosto marcata tra cinematografia erotica e cinematografia pornografica.

Se la seconda (sono sicura) sia ben chiara in tutte le nostre caste menti (Rocco Siffredi ci ha insegnato tante GRANDI cose), la prima è più incentrata sull’estetica, sul desiderio sessuale e sull’amore romantico.

Attenzione: con ciò, non voglio dire che i film erotici non contengano scene di sesso esplicito, ma che a differenza del porno, questo ha un valore appunto estetico e artistico. Insomma, non è un banale “Professore, mi sbatta sulla cattedra!”.

Anche in questo caso: come la settima arte ha preso piede, ecco che a qualcuno si è accesa la lampadina e ha pensato “mettiamoci un bel seno”.

Il film spartiacque, che decide di rompere le catene del pudore degli anni passati, è lo svedese “Io sono curiosa”, diretto da Vilgot Sjöman nel 1967, che include anche diverse scene e inquadrature proto-pornografiche. Tra l’altro, piccola curiosità, questa pellicola viene citata da Quentin Tarantino in “C’era una volta a Hollywood”.

Nel Bel Paese, nonostante la nostra pudicizia fosse ben radicata (tutta colpa del Cristianesimo e questa non è una battuta), negli anni Settanta fu Pier Paolo Pasolini a fornirci la “Trilogia della Vita”, un trittico composto da tre lungometraggi (“Il Decameron”, “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle Mille e una Notte”) in cui si analizzava il legame tra eros e thanatos (ossia la morte).

Tra i film erotici più celebri, posso citare senza ombra di dubbio “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci, del 1972, con Marlon Brando, considerato oggi un classico del genere e uno dei migliori cento film romantici di tutti i tempi. All’epoca venne pesantemente censurato in Italia, tanto da avviare un procedimento penale (probabilmente eravamo convinti di riprodurci per partenogenesi).

Nel 1986, poi, vede la luce “9 settimane e ½”, diretto da Adrian Lyne, con protagonisti Mickey Rourke e Kim Basinger.

Giusto pochi anni dopo, nel 1992, approda nelle sale uno dei film con maggiori incassi nella storia, con una scena iconica che tutti noi abbiamo stoppato per cogliere al volo l’intimità di Sharon Stone: “Basic Instinct”, thriller-erotico-noir diretto da Paul Vernon e interpretato da Michael Douglas.

E alla fine del decennio, nel 1999, Stanley Kubrick produce uno dei film più famosi del settore e dell’intera cinematografia, tratto dal romanzo “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, pubblicato nel 1925: “Eyes Wide Shut”, con Tom Cruise e Nicole Kidman.

Ho appena citato un libro. Secondo voi, la letteratura poteva essere esente dall’erotismo e dalla pornografia?

Qui, il confine tra i due si assottiglia ancora di più: se nelle arti figurative è meno complesso comprendere cosa sia pornografico e cosa no, dato l’esplicito visivo, nella letteratura sta tutto nell’atmosfera e nel linguaggio utilizzato dallo scrittore. Anche in questo contesto possono essere descritti dettagliatamente gli amplessi, ma quella che sembra essere una differenza universalmente riconosciuta tra eros e porno, è proprio il vocabolario usato: nell’erotico si ricorrerà più a immagini metaforiche o a termini come “vagina” e “pene”, mentre nel porno si troveranno più espressioni volgari come “cazzo” o “figa”. Ma anche ciò non basta per fare una separazione concreta, perché questa terminologia colorita (come ben sappiamo nella vita reale) può anche essere sfruttata per descrivere l’impeto e la passione del momento tra due amanti.

Alla fine, distinguere l’uno dall’altro è a pura discrezione del lettore.

Come per tutte le altre forme d’arte da me descritte sinora, anche la letteratura erotica ha origini fin dall’alba dei tempi.

Naturalmente, il primo nome che viene alla mente in questo campo è il Marchese de Sade, vissuto tra il 1740 e il 1814, che ha fornito al mondo tutta una serie di scritti incentrati sul tema del sadomasochismo.

Tra i più influenti dell’era contemporanea, soprattutto nella cultura BDSM, è “Histoire d’O”, scritto da Pauline Réage nel 1954. È una lettura molto apprezzata anche grazie al gran numero di spunti di riflessioni morali e psicologiche: “O” è una giovane ragazza, talmente tanto innamorata del suo fidanzato, da lasciare che lui la conceda a una moltitudine di uomini nel castello di Roissy, provando sulla propria pelle pratiche sessuali d’ogni tipo.

L’opera ha ispirato diversi lavori filmici, televisivi e anche un fumetto disegnato da nient’altri che Guido Crepax.

Come non ricordare, poi, Anais Nïn, con il suo “Il delta di Venere”, un’antologia di quindici racconti erotici pubblicata nel 1977, la raccolta “Uccellini”, del 1979, e i suoi “Diari”, redatti dal 1931 fino all’anno della sua morte, nel 1977, dove descrive la sua relazione con un altro celebre scrittore (Henry Miller, autore di un romanzo erotico famosissimo, “Il Tropico del Cancro”, del 1934).

Tra le opere letterarie erotiche più importanti, non si può tralasciare “Lolita”, creata dallo scrittore russo Vladimir Nabokov nel 1954, dove al centro della storia c’è un’attrazione sessuale, morbosa e passionale da parte di un uomo maturo nei confronti di una maliziosa e spregiudicata dodicenne.

E poi, mi sovviene “L’amante”, di Marguerite Duras, un romanzo in gran parte autobiografico del 1984, dove la protagonista (l’autrice stessa) racconta di quando visse con la madre e i fratelli nell’Indocina francese. La ragazza, all’epoca, aveva circa quindici anni e non appena sbarcata, attirò l’attenzione di un ventisettenne cinese, figlio di un ricco uomo d’affari. Tra i due nacque una relazione.

Le messe in scena a sfondo erotico e pornografico continuano ancora oggi, anche nel mondo della pittura, con artisti come Anne Buckwalter, statunitense che dipinge quadri raffiguranti ambienti casalinghi e quotidiani, deliziosamente arredati con quell’influenza olandese tipica delle case della Pennsylvania, con una resa grafica quasi bidimensionale. Ma se si osserva bene, in ogni suo dipinto si possono scorgere dettagli di una femminilità e sensualità straordinaria, con questi corpi nudi di donne che non compaiono solo in qualità di abitanti della dimora, ma anche sottoforma di fotografie appoggiate sul comodino, di tele appese alle pareti o di istantanee lasciate sul tavolo della cucina, rendendo la sessualità femminile qualcosa di naturale e normale, ma allo stesso meravigliosamente intimo.

E non dimentichiamo che l’eros può essere espresso in forma ancora più velata, con l’ausilio di una simbologia ben particolareggiata.

I cibi afrodisiaci, come il cioccolato o il peperoncino descrivono chiaramente l’eros, così come il frutto proibito, ossia la mela. Questa, se viene tagliata a metà, richiama i genitali femminili. E anche la zucca è un riferimento alla donna, con le sue forme tondeggianti che ricordano i seni gonfi e il pancione di una gravidanza. Il fuoco o il colore rosso, poi, si sprecano.

Se vogliamo trovare un simbolo fallico e lussurioso, invece, dobbiamo cercare il serpente, che con la sua forza ben si presta all’identificazione dell’amore fisico e carnale. Così come si prestano bene le figure delle sirene, considerate, però, una visione negativa dell’amore carnale. Un richiamo ammaliatore che, tuttavia, conduce inevitabilmente alla rovina.

A questo proposito, esiste un termine dedicato nel mondo greco-classico: la falloforia, processione solenne in onore di Priapo e Dioniso, nelle quali si trasportavano enormi falli di legno, propiziatori dei raccolti, effigiati poi su tutto il vasellame ellenico.

Ora, come avrete avuto modo di capire da questo mio lungo scritto, sull’argomento potremmo stare a parlare per ore e ore, senza smettere di trovare riferimenti al sesso in qualsiasi opera di qualsiasi forma d’arte, di qualsiasi epoca. Non mi sono dilungata nella pittura rinascimentale, che invece ne è colma.

Questo perché esso fa parte della nostra Natura, anche se lo consideriamo paradossalmente, in maniera abbastanza ipocrita, un argomento vietato.

Ci affascina, ci ammalia, tanto da aver istituito persino musei in suo onore, come il Sexmuseum di Amsterdam (che ho avuto il piacere di visitare personalmente).

Forse è proprio per il fatto che la seduzione sia paragonabile a una sorta di arte, a una danza in cui due corpi cercano di scoprirsi ed esplorarsi, prima da lontano e poi da vicino, che ne siamo così catalizzati.

Perché l’erotismo e anche il pornografico non giocano con i nostri genitali, tanto quanto invece con le nostre menti. Stuzzicano le nostre fantasie più recondite, sublimandole, elevandole a un oggetto di desiderio che aneliamo e rincorriamo costantemente.

Ed effettivamente anche durante un amplesso, la vera voluttà viene soddisfatta solo quando è anche la mente ad avere un orgasmo.

Un mio caro amico, una volta mi disse: “Nel sesso ci sono due tipi di persone: gli operai e gli artigiani. Gli operai sono ben capaci di eseguire solo l’atto meccanico. Infilare e sfilare, stantuffare o semplicemente ricevere e farsi riempire, con lo scopo di arrivare entrambi banalmente alla fine. Gli artigiani sono coloro che non plasmano solo il tuo corpo e i tuoi genitali, ma che plasmano anche la mente, trasformando l’amplesso in un gioco, in un’opera d’arte, dove, alla fine, il semplice orgasmo non è il fine ultimo. Quello è il sesso vero.”

D’altro canto, come dice il regista spagnolo Pedro Almodóvar: “L’erotismo è importante non per il sesso in sé, ma per il desiderio. Il sesso è solo ginnastica, il desiderio è forza del pensiero. E la forza del pensiero ha un potere immenso, può fare qualunque cosa.”

Scritto da Camilla Marino