L’estate è ormai iniziata e con essa anche la voglia di andare in vacanza, partire per nuove mete e scoprire territori inesplorati. Dunque, prendo la palla al balzo per raccontarvi una parte del viaggio che ho compiuto questo inverno. Vi saranno subito venute in mente due domande: perché ci racconti di un viaggio invernale? E perché solo “una parte”?
Tra novembre e dicembre, ho preso la mia auto e mi sono lanciata in un’avventura on the road in giro per la Francia durata due settimane. Sono passata dalla Svizzera, attraversando il San Gottardo e ho fatto una capatina sulla strada del ritorno anche in Germania. Capirete che non posso certamente parlarvi di un tragitto così articolato e lungo in unico pezzo, quindi vi narrerò il mio pellegrinaggio in più puntate (tra le mie storie in evidenza, potete già trovare qualche reel dedicato alle opere presenti al Louvre e al Musée d’Orsay di Parigi, alle Catacombe di Parigi e alla reggia di Versailles che potete vedere cliccando qui, quo, qua, lì e là).
Tra le tappe di questo mio tour, figura Omaha Beach, luogo storico dello sbarco in Normandia, avvenuto il 6 giugno del 1944. Una località che conserva un grandioso fascino in tutte le stagioni. Anzi, durante quella più calda è sicuramente più apprezzabile, considerando che tutti gli esercizi commerciali sono aperti per i turisti.

Innanzitutto, per chi non lo sapesse, questa spiaggia dal rilevante valore storico, è situata nella regione settentrionale francese della Normandia, affacciata sul canale della Manica, il cui capoluogo è la città di Rouen, che vi invito a visitare, perché ricca di arte, musei e storia.
Mi ricordo che una delle mie professoresse del corso di francese madrelingua del mio liceo linguistico, proveniva dalla Normandia e in qualunque discorso, a prescindere dall’argomento, nominava quest’area geografica! Si poteva anche parlare della fame nel mondo o delle nuove elezioni presidenziali o di qualunque fenomeno sociale e psicologico, ma lei riusciva sempre a menzionare il fatto che in Normandia il dialetto parlato, oltre che naturalmente al francese, fosse il normanno (uno degli idiomi più importanti tra le lingue d’oïl, derivanti dal francese antico diffuso nel Medioevo); oppure, trovava sempre il tempo di insegnarci che i quattro prodotti gastronomici tipici del territorio sono le mele, il latte, la carne e le materie prime ittiche; o ancora, ci istruiva informandoci che i cinque dipartimenti storici della Normandia (oggi riuniti in Bassa Normandia e Alta Normandia) fossero Calvados, Manica, Orne, Eure e Senna Marittima.

Ma passando oltre alle lezioni impartite a scuola, veniamo al primo quesito che ci si pone quando si decide di andare a Omaha Beach: come ci si arriva?
Personalmente, è stata una tappa successiva a Parigi: prima di Omaha Beach ho soggiornato a Mont Saint-Michel, ma di questa meraviglia mondiale ve ne parlerò in un altro articolo. Perciò, dalla capitale, ho imboccato la A13, detta anche Autoroute de l’Ouest, la prima autostrada francese aperta nel 1946, lunga 225 km, dritta fino a Caen. Nel giro di poco più di tre ore arriverete a destinazione e nel modo più veloce possibile. Con il treno, che può essere un’opzione, ci si impiega più tempo: si parte dalla stazione parigina di Saint-Lazare (direzione Cherbourg) e si scende a Bayeux, dove si effettua il cambio in direzione Grandcamp Maisy, per fermarsi presso la cittadina di Vierville-sur-Mer. Da lì, la spiaggia dista circa dieci minuti a piedi.
Ma questo, solo se volete passare da Parigi e godervi il viaggio. Se volete la strada più breve, potete decidere di prendere l’aereo, considerato che l’aeroporto di Caen (CFR) è a 36 km da Omaha Beach.

Giungendo sul posto con l’auto, mi sono resa conto di quanto effettivamente avessi immaginato in maniera errata la grandezza di quella spiaggia.
La sua immensità mi ha ricordato fin da subito quella delle spiagge di Miami, con due differenze sostanziali.
La prima è il freddo.
Come ho detto sopra, ho effettuato questa mia “gita” a dicembre e la temperatura era sotto lo zero. Indossavo una maglietta termica, una felpa di pile, la mia ecopelliccia e una sciarpa, oltreché calze, stivali e pantaloni di ecopelle. Eppure, non appena scesa dal veicolo, ho sentito un brivido glaciale lungo la schiena. Non posso fare a meno di ridere al ricordo della toilette: da Mont Saint-Michel a Omaha Beach, passando per la A8, è un’ora e mezza di viaggio, quindi ne avevo necessità e l’unica toilette pubblica presente in quel momento era all’aperto, in un capanno di legno: tanto valeva che mi appoggiassi su una lastra di ghiaccio, perché tra il vento e la temperatura, è stata un’esperienza mistica!


La seconda differenza con le calde spiagge della Florida è la sensazione che percepivo e il ruolo nella storia.
Suggestione o meno, quasi un secolo fa quella sabbia si tinse di rosso durante la cosiddetta Operazione Overlord: il nome in codice scelto dalle forze Alleate per la loro missione. La manovra era invadere la Normandia e liberare la Francia dal regime nazista. Un nome traducibile come “Signore Supremo”, che rispecchiava la portata e l’importanza della missione che stavano per intraprendere. Talmente significativo che un altro nome con cui è conosciuto questo giorno è D-Day, poiché in gergo militare la D indica proprio “day”, cioè il giorno in cui si dà inizio a un’operazione bellica così segreta e fondamentale da non far trapelare neanche il suo nome in codice.
Erano cinque le spiagge prescelte per questa operazione, compresa Omaha Beach:
- Utah Beach, la più occidentale di tutte, situata sulla penisola di Cotentin
- Gold Beach, dove si trova il porto artificiale Mulberry B, nella località di Arromanches-les-Bains (i porti artificiali vennero costruiti per agevolare lo sbarco degli Alleati, il Mulberry A venne realizzato proprio a Omaha Beach)
- Juno Beach, dove sbarcò la parte anfibia dell’operazione Overlord, chiamata a sua volta operazione Neptune, a cura delle truppe canadesi, nel dipartimento di Calvados
- Sword Beach, quella più a est, anch’essa coinvolgente l’operazione Neptune, di competenza dell’armata britannica, più un piccolo gruppo di 177 uomini delle forze libere francesi.
Inoltre, vi è il Point du Hoc, una falesia, un promontorio, una scogliera alta 30 metri che si estende per più di 6 km, che gli americani presero d’assalto contro le truppe tedesche.


Cinquemila furono i morti ufficiali. Dodicimila i dispersi. Perciò, quel giorno molte teste vennero ghigliottinate dalla falce della Signora Morte, più di tremila solo nelle prime ore di sbarco.
Il giorno in cui sono arrivata, il cielo era di un grigio perlaceo con sfumature più scure che lo facevano apparire come un cielo di ferro e cemento, un aereo militare volava sopra la mia testa nel corso di un’esercitazione e la Manica bagnava la sabbia con le sue lunghe onde. Un mare non troppo agitato, ma che sfidava chiunque a immergersi, dando l’impressione di trascinarti via alla prima placida ondata e di non farti mai più trovare. Chissà che gelo avrei sentito se mi fossi tuffata in acqua…


Laggiù, nel bel mezzo di Omaha Beach, si staglia il monumento memoriale “Les Braves”, opera inaugurata nel 2004 e nata dalla mano dell’artista francese Anilore Banon: delle sculture somiglianti a tre ali spiegate, denominate “The Wings of Hope”, “Rise, Freedom!” e “The Wings of Fraternity”.
Seguendo un ossimoro, personalmente mi ricordavano i resti dello scheletro di un enorme animale, forse una balena o un capodoglio spiaggiati tempo addietro. Per gli appassionati come me, il rimando alla spiaggia dell’aldilà del videogioco “Death Stranding”, nella mia testa, è stato immediato.


Camminando, mi sono imbattuta in altri due siti di interesse: il Monumento alla Guardia Nazionale e la statua “Ever Forward”.
Il primo, costruito nel 2014 per onorare la memoria delle guardie nazionali che sbarcarono sulla spiaggia durante il D-Day, sembra l’ingresso di un’imponente tomba. Stoico, brutalista, silenzioso. Come può un monumento essere silenzioso? E come può una statua fare rumore? Fare rumore come “Ever Forward”, eretta anch’essa nel 2014, raffigurante due soldati americani: uno è a terra, ferito o probabilmente in punto di morte, l’altro lo trascina, correndo verso la costa urlando…






Passeggiando sul lungomare nella quasi totale assenza di suono, rotta dal mormorio delle onde e da un leggero soffio di vento, non ho potuto fare a meno che chinarmi e scrivere il mio nome nella sabbia.
Un mio modo di dire “Sono stata qui”, seppur effimero… un po’ come le vite stroncate su quegli stessi granelli decenni orsono.


Non vi sto neanche a dire il quantitativo di musei visitabili nelle vicinanze, perché ne troverete a decine. Mi limiterò a raccomandarvene qualcuno.
Ad Arromanches-les-Bains, nei pressi di Gold Beach, distante giusto una trentina di minuti da Omaha Beach passando per la N13, vi è il primo museo commemorativo aperto sullo sbarco in Normandia: il Musée du Debarquement (Museo dello Sbarco in italiano), che celebra altresì l’inaugurazione del già citato porto artificiale. La sua data di apertura risale, infatti, al 5 giugno 1954.

A Colleville-sur-Mer, a due passi da Omaha Beach, è presente il Cimitero e Monumento alla Memoria Americano. Due giorni dopo lo sbarco, l’8 giugno 1944, le truppe americane realizzarono a Saint-Laurent-sur-Mer un “abbozzo” di quello che poteva essere considerato come il primo luogo di riposo in assoluto dei caduti della Seconda Guerra Mondiale.
In seguito alla fine del conflitto, si decise di costruirne uno a Colleville, rendendolo un effettivo memoriale visitabile a cui venne affidata una speciale concessione territoriale che lo rende letteralmente suolo americano in Francia. Ragion per cui viene gestito dall’American Battle Monuments Commission, un’agenzia indipendente del governo statunitense.
Nei pressi di Omaha Beach, vi è anche il Cimitero Militare Tedesco di La Cambe.




A circa 200 metri da Omaha Beach, è sorto il Musée Mémorial d’Omaha Beach, un piccolo, ma ricco complesso dove è possibile osservare migliaia di oggetti bellici e non, appartenuti ai soldati, con ricostruzioni dei vari scenari dell’epoca e un cortometraggio documentaristico di circa venticinque minuti con le testimonianze narrate dai veterani. Se volete qualche informazione in più su questo luogo, ho realizzato un reel in merito, in occasione dell’anniversario di quest’anno, che potete vedere cliccando qui.






In questo museo, ho acquistato un interessante volume di Jean Quelliene, professore emerito di storia contemporanea presso l’Università di Caen e membro associato al “Centro di Ricerche di Storia Quantitativa Seconda Guerra Mondiale”, direttore dell’Ufr di Storia, Orep Editions: “Normandie 44”. Da questo libro, ho ricavato molte informazioni e fotografie.




Ma le coste della Normandia non sono solo un memoriale di morte e dolore. Questa regione è stata anche la culla di una miriade di grandi menti artistiche!
Innanzitutto, è la patria dell’Impressionismo, avendo ospitato pittori illustri, amati e ammirati ancora oggi.
In primis, colui che viene ricordato come il maestro di Claude Monet: Éugene Boudin, celebre per i suoi dipinti raffiguranti i paesaggi costieri del nord della Francia, con un’attenzione particolare nella rappresentazione delle nuvole e dei cieli. Le sue dettagliate e ben dosate pennellate intrise di tutte le tonalità dell’azzurro, erano in grado di rendere così visivamente belle le nuvole, da acquisire il soprannome di “re dei cieli”, datogli da Jean-Baptiste Corot, uno dei più riconosciuti paesaggisti francesi mai esistiti.


La Normandia fu un luogo caro anche a Claude Monet stesso, l’artista per eccellenza della pittura en plein air (pittura all’aria aperta). Egli, infatti, trascorse gran parte della sua vita nella cittadina normanna di Giverny, dal 1883 al 1926, anno della sua morte. Oggigiorno, Giverny è una fermata obbligatoria per tutti gli appassionati d’arte, vista la presenza non solo della casa in cui ha vissuto e lavorato il pittore, ma anche per i suoi fantastici giardini, il vero teatro dell’opera di Monet. Fu questo l’anfratto che gli donò maggiore ispirazione, il quale produsse un’infinità di quadri impressionisti, specialmente la sua famosissima serie di ninfee.




La Normandia, con i suoi colori, le sue coste e la sua vita attiva legata al mare è stata un’ottima Musa anche per un altro noto esponente del movimento Impressionista: Pierre-Auguste Renoir, che realizzò un buon numero di lavori ritraenti l’atmosfera unica di questa regione.


Ma non furono solo i francesi a essere rapiti dalla bellezza di queste terre: anche l’inglese William Turner fu stregato dalla natura selvaggia e incontaminata dell’area, soprattutto dal suo mare, dai suoi litorali, dai suoi paesaggi modellati dal vento e dalla nebbia. Visitò la Normandie più volte e altrettante volte eseguì meravigliosi dipinti.


E sconfinando nella scrittura, è impossibile non rimembrare il capolavoro dell’autore Gustave Flaubert, “Madame Bovary”. Flaubert crebbe in Normandia e la gran parte dei suoi romanzi ambientati nei villaggi costieri, nelle lande così lontane dalla civiltà e dal caos parigino. Nel suo celebre scritto appena citato, Emma Bovary scopre quanto la vita in uno scenario simile sia lontana anni luce dalla sua concezione di passione e ricchezze, tanto da spingerla a comportarsi in un modo così anticonformista che non solo attirò lì centinaia di migliaia di turisti parigini e non, ma che costò anche un’accusa di oscenità ai danni di Flaubert.
Nel capoluogo Rouen, è presente un Museo completamente dedicato all’illustre medico e scrittore: la sua casa d’infanzia.


Un’infanzia condivisa con un altro conosciutissimo autore, Guy de Maupassant, che utilizzò la Normandia sia come messinscena nella maggior parte dei suoi scritti, che come Musa ispiratrice.

E che dire delle poesie di Jacques Prévert? I suoi poemi sono tutti inni alla natura, all’amore e alla libertà, nati dall’influenza selvaggia e senza tempo dei paesaggi normanni. In particolar modo, Prévert ebbe un tal legame con il mare della Manica e con l’oceano, tanto da prendere una casa a Omonville-la-Petite, dove trovò un rifugio isolato e sicuro per lasciarsi travolgere dalle emozioni.
E naturalmente Paul Verlaine, uno dei cosiddetti “poeti maledetti”, con il suo stile nostalgico, melanconico e oscuro, la cui poesia “Chanson d’Autonme”, facente parte della raccolta “Poèmes saturniens” del 1866, venne riadattata e utilizzata da Radio Londra nei primi giorni di giugno del ’44, per incitare lo sbarco in Normandia.


E so bene che una gran parte di voi sta pensando anche al masterpiece del 1998 diretto da Steven Spielberg, con protagonisti Tom Hanks, Edward Burns, Matt Damon, Vin Diesel, Jeremy Davis e Paul Giamatti, “Salvate il soldato Ryan”. La pellicola è vagamente ispirata alla storia vera dei quattro fratelli irlandesi Niland, che prestarono servizio nelle forze alleate durante il D-Day. Sopravvissero la metà di loro, ma per diverso tempo si ipotizzò che uno dei due fosse morto: in realtà era tenuto prigioniero in un campo giapponese in Birmania.
Il lungometraggio si aggiudicò quattro premi Oscar nell’edizione del 1999: miglior regia, miglior fotografia, miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro, oltreché una serie di altre candidature.

La Normandia è una terra singolare e affascinante, capace di rapire, di dare un senso quasi di soggezione quando si decide di attraversarla e di avventurarcisi.
Fatta di salsedine, sabbia, scogliere a picco sul mare, vento, nebbia e sangue. Si è fatta strada, volente o nolente, nel cuore e nell’animo di migliaia di persone, che tornando a casa non hanno potuto fare a meno che portare con sé e nella mente un pezzettino di quella regione.
E anziché lasciarvi con la mia consueta citazione, ecco la poesia di Verlaine da me sopra descritta: « Les sanglots longs / Des violons / De l’automne / Blessent mon cœr / D’une langueur / Monotone / Tout souffucant / Et blême, quand / Sonne l’heure, / Je me souviens / Des jours anciens / Et je pleure / Et je m’en vais / Au vent mauvais / Qui m’emporte / Deçà, delà, / Pareil à la / Feuille morte. »
Tradotta in italiano: “I lunghi singulti d’autunno mi lacerano il cuore d’un languore monotono. Pieno d’affanno e stanco, quando l’ora batte io mi rammento remoti giorni e piango. E mi abbandono al triste veno che mi trasporta di qua e di là simile a una foglia morta.”