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I consigli cinematografici di FunkyCami #1

Ovviamente nel MIO blog non poteva mancare la sezione legata al cinema, considerato che oltre ad avere una passione smodata per la settima arte fin da piccola, una delle mie lauree è proprio in cinema.

Ma perché prendere dei film “a casaccio” e consigliarveli? Mi è sembrato che dare un senso ai suggerimenti fosse la strada più giusta. E questo senso l’ho trovato abbinando i miei consigli ad alcuni articoli, a rotazione, che vi presento nelle varie categorie sempre del mio blog.

Ho parlato di quel volto romantico che vediamo ogni notte, la nostra Luna, nella sezione Spazio e dintorni (cliccate qui accanto sul nome della categoria per leggere l’articolo). Quel pallore che sembra quasi spettrale, quell’”alba di perla” (come definiva Pascoli nella sua poesia “L’assiuolo”, riferendosi all’alone bianco che la circonda), rappresenta il punto di partenza dell’uomo verso l’esplorazione dello spazio profondo.

Non solo, come una bella e misteriosa donna che passeggia di notte, lanciandoci sguardi provocanti come quelli di un’amante e allo stesso tempo inteneriti come quelli di una madre, quel corpo celeste che pare quasi essere femminile, nella sua rotondità, ha ispirato mille artisti di vario genere, fino ad arrivare al cinema.

E pensando alle pellicole associate a questa strana e misteriosa sfera nel cielo, non posso non farmi venire in mente “Moon”, film del 2009 con la regia di Duncan Jones, il figlio del mitico David Bowie. Stiamo parlando (non) ovviamente del genere fantascienza, mescolato sapientemente al dramma e al thriller. (Perché ho messo quel “non” tra parentesi? Più tardi ve lo spiego)

La trama è questa: siamo proiettati in un futuro non così lontano da noi, più precisamente l’anno 2035. Direttamente dal suolo lunare, viene estratto l’Elio 3, un isotopo capace di provvedere al fabbisogno energetico mondiale. L’addetto a questo incarico, quello di raccogliere e spedire sulla Terra l’Elio 3, è Sam Bell, interpretato da un perfetto Sam Rockwell (perfetto anche perché l’intera sceneggiatura del film è stata scritta pensando proprio a lui come attore principale), affiancato da un robot senziente di nome GERTY, con la voce di Kevin Spacey, che esprime le sue emozioni tramite delle faccine simili a degli emoji sullo schermo, che per assurdo ci faranno provare empatia nei suoi confronti e lo faranno sembrare quasi umano.

Il nostro Sam è quindi quasi del tutto solo sulla Luna ed è praticamente arrivato al termine del suo contratto triennale, la cui fine segnerà il suo ritorno sulla Terra e il rientro a casa da moglie e figlia. I suoi ultimi giorni sul nostro satellite sembrano andare come di consueto, nonostante i terribili mal di testa e le sempre più frequenti e bizzarre allucinazioni. Durante una delle sue solite mansioni, Sam subisce un brutto incidente, si risveglia in infermeria con la compagnia di GERTY, le comunicazioni con la Terra sono interrotte a causa di un malfunzionamento e da lì accadono… cose… che non posso spiegare perché, altrimenti e giustamente, mi lincereste sotto casa per avervi spoilerato e rovinato il film.

Beh, qui non solo si parla della Luna, ma c’è anche un richiamo per nulla sottile al transumanesimo, di cui vi ho parlato in un articolo della sezione Cosa succede nel mondo? (cliccate sempre sul nome della categoria qui di fianco per leggerlo)

Il confine tra uomo e macchina si assottiglia fino a sparire quasi del tutto, attraverso l’umanizzazione del computer che ha il dovere di prendersi cura del protagonista.

Lo scenario non è propriamente fantascientifico, ma decisamente fattibile, se non realizzabile, purtroppo o per fortuna. Ecco perché, quando vi ho parlato di genere (non) fantascientifico, quel “non” era tra parentesi, perché sta già accadendo che le varie agenzie e corporazioni terrestri si stiano dando molto da fare per mettere le mani su quelle ricche e proficue risorse spaziali che abbiamo scoperto negli ultimi anni. Non vi sono strani alieni, viaggi interstellari o lotte spaziali. C’è solo un uomo che deve confrontarsi con il sé presente, il sé passato e il sé futuro ogni giorno, spesso anche inconsapevolmente, attorno al quale ruota completamente tutta la trama. E questa solitudine quasi insostenibile viene spezzata solo da un’entità robotica che, un po’ per la sua capacità di essere senziente, un po’ per quelle faccine digitali che appaiono quasi comiche e che strappano un sorriso un po’ amaro ogni tanto, risulta diventare alla pari dell’unico amico che ha a disposizione, in un paesaggio tanto meraviglioso e unico quanto desolato: una desolazione che rispecchia fedelmente lo stato d’animo sempre più oppresso dagli eventi del nostro Sam. Un vero e proprio dramma extraterrestre. E direi che come film di esordio del figlio di un grande artista come David Bowie (e non è facile essere associati ogni volta a una figura genitoriale così tanto celebre) non è niente male!

Sempre inerenti al tema della fusione uomo macchina, vi posso consigliare anche “Transcendence”, del 2014, con un cast pieno di “figli di nessuno”: Johnny Depp, Morgan Freeman, Rebecca Hall, Paul Bettany, Cillian Murphy, Kate Mara, Cole Hauser. Il signor Depp interpreta un pioniere nel campo dell’intelligenza artificiale la cui coscienza viene trasferita all’interno di un computer, dopo essere stato avvelenato da un gruppo di terroristi, la cui ideologia va contro il suo operato. E chi può prendere il sopravvento? La coscienza dell’uomo o quella dell’IA?

E vi consiglio anche “Humandroid”, datato 2015, con Hugh Jackman, Sigourney Weaver e Dev Patel, dove uno scienziato riesce a creare un robot dalle sembianze umanoidi e senziente, tanto senziente da risultare con la coscienza di un bambino alla scoperta del mondo.

Tutti e due sono lungometraggi che, personalmente, hanno suscitato in me molta ansia, forse anche voi non ne sarete esenti e verrete assaliti dall’angoscia e dalla commozione durante certe scene. Credo che il motivo sia legato al fatto che risulti assai difficile accettare che un computer possa avere il cervello e le capacità emotive di un essere umano… e vederne uno idoneo a ciò, potrebbe essere tanto affascinante quanto estremamente inquietante.

Oppure, perché no? Uniamo tutto questo insieme: fantascienza, Luna, intelligenza artificiale concentrati tutti in quel calderone di disaster movie che è “Moonfall”, con Halle Berry, Patrick Wilsom e un’apparizione di Donald Sutherland. Film recentissimo, dell’anno corrente 2022, che vede la Luna cambiare improvvisamente orbita. La nuova traiettoria, la porterebbe inevitabilmente a schiantarsi contro il nostro pianeta, combinando, ovviamente, un disastro. Pellicola super leggera, da vedere per spegnere il cervello e godersi un bel po’ di azione in CGI, con navicelle spaziali che non vengono neanche sfiorate dagli asteroidi mentre sfrecciano nello spazio, frasi a effetto del tipo “Sì, cazzo, andiamo a salvare il mondo!”, con, naturalmente, tutti i risvolti della vita personale dei vari protagonisti che chiamano forte al cliché, ma che sono un classico in film del genere. Come la spalla comica che deve sempre stemperare la tensione, sennò il film risulterebbe più serio del dovuto e non va bene. Spalla comica che deve essere rigorosamente sovrappeso e con la faccia da Nerd degli anni ’90 (stereotipi “a gogo). Non stiamo parlando di un capolavoro da Golden Globe o Academy Awards, ma gli effetti speciali sono fatti molto bene, la scienza che viene sparata in faccia allo spettatore, in certi casi, è vera e plausibile e la dinamicità della storia intrattiene assai.

E sempre parlando della nostra regina delle maree, come si può non sentire un brivido lungo la schiena pensando allo sbarco sulla Luna del 1969?

Naturalmente non potevano non creare un film su questo evento, datato 2018 e intitolato “First Man – Il primo uomo”, diretto da Damien Chazelle. Non credo ci sia bisogno di troppi sproloqui sulla trama, visto che stiamo parlando di Neil Armstrong, qui interpretato da Ryan Gosling, ma sottolineiamo comunque che la narrazione parte dal lutto della figlia di Armstrong, nel 1962, e termina con il suo rientro a casa dalla missione Apollo 11.

Sicuramente non è un film per tutti, perché qui non si parla di fantascienza, a discapito di tutto quello che possono dire i complottisti sul fatto che l’allunaggio sia stato in realtà un filmato girato da Kubrick in uno studio cinematografico.

Ma tornando al film lasciando stare tutte queste fantasmagoriche teorie, non aspettatevi, appunto, il classico movie commerciale fantascientifico: qui c’è una visione semplicemente umana dell’atterraggio sulla Luna. Forse per questo motivo, all’inizio, il ritmo del lungometraggio vi risulterà un po’ lento, ma dalla metà in poi la “lentezza” lascia spazio alla grandiosità del progetto.

Non troverete quell’atmosfera tipica che permea ogni pellicola ambientata negli anni ’50, ’60 e ’70, vi sentirete, al contrario, come se la vicenda si svolgesse ai giorni nostri… no, è inesatto… è più come se la vicenda fosse costantemente e infinitamente attuale, qualsiasi sia l’anno in cui la si guardi. Neil Armstrong non viene rappresentato come un supereroe: egli è un uomo che, a differenza di tutti gli altri, ha compiuto un’impresa storica e quasi leggendaria (e dici poco!). Vedere la sequenza dell’allunaggio è davvero… wow… pensare che quella che stiamo vedendo non è fantascienza, ma storia, realtà… Ci si immagina realmente come l’uomo potesse, all’epoca, guardare verso lo spazio e pensare “Ecco, ci siamo, questo è solo l’inizio…”.

E questa sensazione la si può percepire appieno anche in un film che molti di voi conosceranno sicuramente, candidato agli Oscar 2017 per le categorie di miglior film, miglior attrice non protagonista (Octavia Spencer) e miglior sceneggiatura non originale: sto parlando de “Il diritto di contare” (il titolo originale è “Hidden Figures”), con un cast composto da Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe, Kevin Costner, Kirsten Dunst, Sheldon Cooper EHM VOLEVO DIRE Jim Parsons, Glen Powell e quel mostro sacro di Mahershala Ali. Questo, a mio parere, fa parte dei capolavori della cinematografia: narra la vera storia di Katherine Johnson, matematica, scienziata e fisica afroamericana che lavorò al Programma Mercury e alla missione Apollo 11 presso la NASA, lottando contro il razzismo. Con una favolosa colonna sonora soul firmata da Pharrell Williams e prodotta da Hans Zimmer, composta da dieci canzoni inedite cantate sia da Pharrell che da nomi prestigiosi come  Alicia Keys, Mary J. Blige, Kim Burrell, Lalah Hathaway e Janelle Monae (che è anche una delle co-protagoniste della pellicola), con quell’atmosfera tipica dei film ambientati in quegli anni che vi accennavo sopra. Le tre protagoniste sono tre donne forti, che sfidano il mondo con il loro cervello e che rendono questo film indimenticabile, emozionante, fantastico… uno dei miei preferiti!

Ma sempre parlando di film basati su fatti reali, naturalmente, dovete vedere anche “Apollo 13”, del 1995, con la regia di Ron Howard. Anche qui troviamo un cast di tutto rispetto: Tom Hanks, Kevin Bacon (il nostro amato Gavino Pancetta, se tradotto in italiano), Bill Paxton, Gary Sinise e Ed Harris. Beh il titolo è chiaro come la carnagione di un irlandese, parliamo della missione Apollo 13, ma a differenza di “First Man” non vi è la stessa drammaticità, la stessa “lentezza”, per così dire. La storia viene raccontata in maniera decisamente più dinamica e “commerciale”, praticamente “all’americana”, la classica modalità di ogni american movie, senza nulla togliere all’importanza di questo evento (certa gente è ancora convinta che sia stato l’Apollo 13 a sbarcare sulla Luna, pensate a quanta rilevanza storica ha avuto anche questa missione). Tutte e tre visioni obbligatorie per i veri amanti del cinema interstellare!

E se andiamo oltre la Luna e oltre le stelle? Vi ho parlato anche di alieni, sempre nella sezione Spazio e dintorni (cliccate qua accanto sul nome della categoria per accedere all’articolo), che si divertono con gli umani. E più de “La moglie dell’astronauta” con la regia di Rand Ravich, quale pellicola esiste che possa rappresentare al meglio gli incontri ravvicinati con entità extraterrestri? Beh, sì, esiste ed è “Il quarto tipo”, ma ve l’avevo già consigliato nell’articolo in cui parlavo bene di questo argomento. Dicevo, in “La moglie dell’astronauta”, abbiamo una bellissima Charlize Theron che aspetta che suo marito, Johnny Depp, rientri a casa dal lavoro… è andato “un attimo” a riparare un satellite artificiale in orbita attorno alla Terra, tanto per intenderci. Qualcosa va storto durante la missione e per due minuti vengono interrotte tutte le comunicazioni. Successivamente, con qualche difficoltà, l’astronauta torna da sua moglie, ma c’è qualcosa di strano in lui…

E sì, qui la fantascienza conta eccome, in una trama che sa totalmente di thriller. Film per tutti gli amanti del vintage, dato che risale al 1999. La storia assume la forma di una spirale verso la paranoia e l’ansia, sempre più dirompenti, sempre più difficili da controllare per la protagonista.

Ho parlato di alieni, che ho descritto come omini verdi con gli occhi ad ape neri. Ecco, questa descrizione si presta accuratamente a un horror fantascientifico che mi è piaciuto particolarmente: “Dark Skies – Oscure presenze”, del 2013, con Keri Russell, Josh Hamilton e J.K. Simmons. Ulteriore esempio di incontri del quarto tipo, con una suspense decisamente accattivante, con quel sapore di paranormale che tanto piace a noi amanti del genere e che risulta essere non dico del tutto originale, ma comunque affatto banale. 

Tuttavia, gli alieni non assumono sempre una forma umanoide, è il caso di “Life”, film diretto da Daniel Espinosa nel 2017, con quei due attoroni che sono Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds, accompagnati da Rebecca Ferguson su una navicella spaziale, all’interno della quale si sta studiando una nuova forma di vita extraterrestre. Beh, anche l’intramontabile, indimenticabile e unica saga di “Alien” (il primo della serie risale al 1979, con degli effetti speciali e un reparto costumi che CGI moderna, hold my beer), con protagonista una Sigourney Weaver in forma smagliante, ci ha insegnato che certi alieni non vedono l’ora di ucciderci… gli astronauti di “Life” non hanno imparato un tubo da Ellen Ripley?

Tutti lungometraggi carichi di azione, scontri mortali e adrenalina pura!

Ma se volete, al contrario, qualcosa di decisamente più impegnato, non posso non suggerirvi un filmone candidato a ben otto categorie durante gli Oscar 2017 (vincitore per il Miglior Montaggio): sto parlando di “Arrival”, tratto dal racconto “Storie della tua vita” di Ted Chiang, con la regia di Denise Villeneuve e i protagonisti interpretati da Amy Adams e Jeremy Renner, insieme a Forest Whitaker. Questa è una storia sì di fantascienza, ma con un risvolto drammatico grosso quanto una casa, che, ovviamente, non vi rivelerò qui. Dodici astronavi aliene compaiono sulla Terra in altrettanti luoghi diversi: una professoressa di linguistica (Amy Adams) e un fisico teorico (Jeremy Renner) vengono incaricati dall’esercito degli Stati Uniti di cercare di comunicare con gli alieni presenti nelle astronavi, in modo da scoprire il perché della loro venuta e quali siano le loro intenzioni. Film non adatto a chi si distrae facilmente, poiché la narrazione è piena zeppa di flashback e flashforward (rispettivamente, una scena accaduta nel passato in relazione alle vicende narrate e una scena che accadrà, al contrario, nel futuro) che, spesso e volentieri, si confondono tra loro, creando una alquanto complessa e riuscitissima struttura narrativa. Posso dire in tutta tranquillità che questo lungometraggio meritava assolutamente anche il premio come miglior sceneggiatura non originale. È estremamente interessante, in questo film, il tema della comunicazione e del contatto, anziché il classico “AMMAZZIAMO QUESTO ALIENO BRUTTO E CATTIVO!”. Commovente e, a tratti, apparentemente “pesante” proprio per la drammaticità che condisce tutta la storia, con soprese dietro l’angolo per nulla scontate e che lasciano a bocca aperta. Guardatelo!

Ma non esistono solo film per il cinema che parlano di extraterrestri: come posso non rimandarvi alla serie tv old but gold di “X-Files”? Ditelo anche voi… leggendo il nome vi è venuta subito in mente l’inconfondibile sigla, vero? Andata in onda dal 1993 al 2018 e ideata da Chris Carter, la serie vede protagonisti David Duchovny (il protagonista di “Californication”, tanto per intenderci) e Gillian Anderson nei panni di due agenti dell’FBI, che hanno ogni giorno a che fare con casi di natura paranormale.

Mentre per gli amanti del genere teen drama, posso proporvi il serial “Roswell”, mandato in onda per la prima volta nel 1999 e conclusosi nel 2002, dove si narrano le vicende di un gruppo di alieni che vivono sotto copertura a Roswell, travestendosi da esseri umani.

Ma torniamo sulla Terra e concentriamoci su Chernobyl. Vi ho già accennato, nell’articolo inerente alle rane nere e agli animali radioattivi, categoria Pianeta Terra, (cliccate sul nome della sezione qui di fianco per leggerlo) due titoli: un film e una miniserie.

Il primo è girato in stile mockumentary o found footage (scriverò un articolo dove vi parlerò in maniera più precisa di questo genere cinematografico) ed è un horror: “Chernobyl Diaries”, risalente all’anno della non avvenuta apocalisse secondo i Maya (il 2012). Un gruppo di amici decide di fare un tour estremo nella città fantasma di Prypjat, filmando tutto con la videocamera… ma qualcosa li bracca tra i palazzi abbandonati, il furgone con cui sono arrivati è fuori uso (wow, non capita mai nei film horror che il veicolo non parta) e devono trovare non solo il modo di sopravvivere, ma anche di tornare a casa. Basato su tutta una serie di leggende metropolitane che girano attorno a questi luoghi tetri e inospitali, è un film leggero per gli appassionati, con qualche spunto decisamente interessante, anche se la trama è piuttosto “telefonata”.

Se vogliamo, invece, qualcosa girato ai limiti della perfezione, di un clamoroso successo di pubblico e critica, ovviamente devo consigliarvi la miniserie drammatica e storica “Chernobyl”, del 2019, con la regia di quell’artista di Johan Reck, padre di serie televisive importanti come “Breaking Bad”, “The Waling Dead” e “Vikings”… ho la vostra attenzione, vero?

La trama è, né più né meno, una ricostruzione di ciò che è avvenuto nel 1986, di come i soccorritori abbiano sacrificato la propria vita per salvarne altre, di come il governo ha cercato di gestire il disastro, della tragicità di questo evento. Con un cast corale in cui sono compresi grandi nomi come Jared Harris, Stellan Skarsgård e Emily Watson.

L’espressione che più mi viene in mente ripensando a questo capolavoro televisivo è… da brividi. Dire che è commovente è riduttivo… è struggente, è grottescamente grandioso e lascia davvero a bocca aperta. Assolutamente da non perdere, consigliatissimissimo!

E infine, per gli ultimi suggerimenti di oggi, ecco qualcosa sui bambini psicopatici, visto che vi ho parlato del caso di Mary Bell nella sezione Crime. (cliccate su quest’ultima frase per accedere all’articolo)

Vi posso dire di aver appena visto un film che voglio proporvi, risalente al 2007 e che, per qualche strana ragione, mi ero persa: “Joshua”, dove troviamo ancora una volta Sam Rockwell, con Vera Farmiga e Jacob Kogan, nei panni di quello psicopatico del figlio di nove anni che si chiama, appunto, Joshua. Dopo la nascita della sorella, Joshua comincia ad avere comportamenti sempre più alienati e disturbanti. E no, non è l’ennesimo figlio di Satana o posseduto da Belzebù, è “solo” un infante tanto educato quanto sociopatico. Non ha un ritmo serrato o adrenalinico, non c’è chissà quale mistero, perché fin da subito capiamo che in questo bambino c’è qualcosa che non va, ma è interessante proprio per questa tangibilità, per quanto la storia sia credibile e drammatica e soprattutto per quanto possiamo metterci nei panni del padre, interpretato, appunto, da Sam Rockwell, sempre più combattuto tra il voler bene al proprio figlio e il rendersi conto delle sue malefatte e delle sue azioni ai danni degli altri, con il crescente desiderio di “mettergli le mani addosso”.

E poi… dai, chi mastica di horror, thriller e true crime si aspetta eccome che io citi questo film: “Orphan”, del 2009. Vera Farmiga fa ancora la mamma di una bambina con degli evidenti problemi, si vede che le piace il tipo di ruolo, perché la troviamo in tutti i film della saga di “The Conjouring”. Tornando al film, lei, insieme al marito Peter Sarsgaard, dopo aver partorito la terza figlia, nata morta, decidono di adottare un bambino da un orfanotrofio e vengono colpiti subito dalla dolcissima e intelligente Esther, una ragazzina russa di nove anni dal passato travagliato, interpretata da una credibilissima Isabelle Fhurman. “Orphan” è un classico del genere, uno di quei bei lungometraggi horror/thriller dei primi anni Duemila e che, soprattutto, prende spunto da una storia vera, che ovviamente non vi narro perché non voglio rovinare il film a coloro che non l’hanno visto. Mano a mano che i minuti scorrono, il quadro diventa sempre più misterioso, quasi sinistro. Quel faccino angelico nasconde qualcosa di perverso, di sporco, di oscuro e malato, in una struttura narrativa che, al giorno d’oggi, risulta estremamente classica, ma che fino a una decina d’anni fa era azzeccata, incalzante e per nulla scontata.

Bene, direi che di opere filmiche, per oggi, ve ne ho consigliate a sufficienza, non vi pare? Di sicuro, sapete cosa guardare nelle prossime serate, prima che ve ne possa proporre altri.

Quindi… pop corn alla mano e buona visione!

Scritto da Camilla Marino