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Quando i serial killer sono dei bambini…

ATTENZIONE: IL CONTENUTO DI QUESTO ARTICOLO POTREBBE URTARE LA SENSIBILITÀ DI ALCUNI LETTORI.

 

 

Quando ho studiato Freud mi è rimasto impresso un concetto chiave del suo pensiero e che vi riassumerò in una frase estremamente sintetica: i bambini non sono creature così innocenti come noi immaginiamo.

Certo, lui si riferiva alla sfera sessuale, ma questa affermazione mi viene da applicarla, come libera interpretazione, anche a un mondo decisamente più oscuro e violento, un mondo che almeno la maggior parte di noi ricollega unicamente a individui adulti: il mondo dei crimini violenti e dell’omicidio.

Ho deciso di non partire con il classico Ted Bundy per questa sezione Crime, perché sarebbe troppo scontato un pezzo su un omicida seriale così famoso da considerarlo quasi un conoscente. Vi parlerò, invece, in una serie di articoli, di bambini serial killer.

Pensavate che gli infanti fossero dei candidi angioletti? Alcuni sono dei veri e propri mostri, purtroppo.

Sadici e psicopatici fin dalla nascita, vittime di abusi, prodotti di una famiglia e di una società che li ha trascurati e maltrattati, questi ragazzini sono protagonisti (o potremmo dire antagonisti) di storie a dir poco macabre e orrende.

E voglio partire con un caso decisamente ambiguo, che fa riflettere, poiché vittima e carnefice si mescolano in un’unica persona.

Parliamo di Mary Bell, soprannominata “The Tyneside Strangler”.

Per chi mastica l’inglese, è un simpatico nomignolo che le è stato affibbiato dai mass media: la strangolatrice della zona di Tyde.

Di certo abbracciare le persone non è mai stato il suo forte. Mi viene in mente che da piccola io stringevo gli altri bambini così stretti da non farli più respirare… però non ne ho ucciso nessuno, la mia era solo una forma d’affetto!

Ma cominciamo dal principio, da quando Mary sgusciò in questo mondo il 26 maggio del 1957, a Newcastle upon Tyne, in Inghliterra.

Beh, di certo non si può dire che Mary fosse nata nella famiglia della Mulino Bianco: la madre, Elizabeth “Betty” McCrickett, era una prostituta molto conosciuta della zona di Newcastle e Glasgow e il padre era ignoto, anche se la bambina lo riconobbe per diverso tempo nel marito della donna, un certo Billy Bell, che si dilettava in alcolismo, violenza e rapine a mano armata con conseguenti arresti… Vabbè, ognuno ha i suoi hobby, direi: c’è chi gioca a carte, chi gioca con i modellini dei treni e chi fa le rapine a mano armata ubriaco!

Mary era la secondogenita e sua madre aveva solo 17 anni quando la diede alla luce.

L’amore non proprio materno si fece subito sentire quando, al primo contatto con la pargoletta, Betty urlò alle infermiere: “Portate quella cosa lontana da me!”. Una volta a casa, nel corso dei primi anni di vita di Mary, la madre cercò più volte di ucciderla, facendo sembrare l’accaduto un incidente. Per fare un paio di esempi: intorno al 1960, la lasciò cadere da una finestra del primo piano, un’altra volta le diede troppi sonniferi. Tutti questi episodi vennero spacciati, da parte della donna, come incidenti domestici.

Ma questo è solo l’inizio dell’inferno che dovette affrontare la povera piccola Mary. La madre non era solo una semplice prostituta, ma una dominatrice sadomaso: quando la bambina ebbe 4 anni, la costrinse a sottomettersi ad abusi sessuali di questo tipo da parte dei suoi clienti.

Lo so cosa state pensando e sì… bestie simili non meritano né l’ergastolo, né la castrazione chimica… meritano di subire gli stessi tipi di torture che hanno inflitto.

Sfortunatamente (e direi anche ovviamente), Mary non aveva alcuna valvola di sfogo, non aveva nessuno con cui confidarsi, anche perché visse la sua infanzia nello Scotswood, una sorta di Bronx di Newcastle upon Tyne.

Madre pazza, prostituta e anaffettiva che cerca di ucciderti, aggiungiamo gli abusi sessuali sadomaso subiti dai clienti, più una location che sicuramente non rappresenta le valli in fiore di “Tutti insieme appassionatamente”… beh, fatevi voi un paio di conti: fin da piccola Mary mostrò repentini cambi d’umore, bagnava il letto frequentemente e a scuola era violenta con i suoi compagni di classe, tanto da essere stata sorpresa mentre cercava di strangolarne o soffocarne qualcuno.

L’unica con cui compiva le sue malefatte e sembrava andare d’accordo, era la sua amica Norma Joyce Bell, una ragazzina di un paio d’anni più grande che viveva nella porta accanto (no, non siete diventati rintronati di colpo, le due condividevano lo stesso cognome nonostante non ci fossero legami di sangue).

Nel maggio del ’68, Mary e Norma aggredirono un bambino di soli tre anni che stava giocando con loro, procurandogli delle lacerazioni al cranio.

I ricorrenti abusi, le angherie, la negligenza genitoriale e i traumi subiti e repressi, furono il fattore scatenante dell’esplosione di rabbia e odio di Mary, quando aveva solo 11 anni.

Il 25 maggio del 1968, Mary uccise Martin Brown, che aveva quattro anni, strangolandolo in una casa abbandonata, dove lo aveva attirato. Sembrerebbe che Norma non fosse coinvolta in questo omicidio. Il corpo venne ritrovato intorno alle 15:30 di quello stesso pomeriggio.

La polizia pensò a una morte per avvelenamento, poiché non trovarono altri segni di violenza. Fortunatamente un’analisi post mortem del corpo accantonò questa assurda ipotesi.

 

Nessun rimorso si fece sentire; Mary e Norma finsero di essere estranee ai fatti e furono loro ad avvisare la zia di Martin, bussando alla porta e comunicandole che il nipote aveva subìto un incidente. Oltre al danno la beffa: successivamente si presentarono a casa della madre di Martin, chiedendo di vederlo. La madre rispose che era morto e Mary controbatté: “Oh, I know he’s dead; I want to see him in his coffin.” (“Oh, lo so che è morto. Io voglio vederlo nella sua bara.”)brividi.

Appena due giorni prima di questo assassinio, però, entrambe le ragazze vandalizzarono un’infermeria e lasciarono dei biglietti che dichiaravano la loro responsabilità nell’omicidio di Martin Brown, avvenuto successivamente. Uno di questi recitava: “I murder SO that I may come back” (“Io uccido per poter tornare”).

I poliziotti pensarono a uno scherzo infantile di cattivo gusto… la perspicacia delle forze dell’ordine!

Il 31 luglio dello stesso anno, Brian Howe, un altro bambino di tre anni, scomparve improvvisamente. Era stato visto per l’ultima volta sul prato di casa, mentre giocava con Mary, Norma e uno dei suoi fratelli.

Intorno alle 23:10 di quella sera, il piccolino venne ritrovato: purtroppo era stato strangolato, gli era stata rimossa brutalmente la pelle dai genitali e gli era stata incisa una M sull’addome.

Vista l’evidente mancanza di un certo tipo di forza fisica, la conclusione fu che a compiere l’orrendo crimine era stato un altro bambino.

Ovviamente le indagini condussero quasi immediatamente, finalmente, a Mary e Norma.

 

Durante gli interrogatori e il processo, emerse che nonostante Mary fosse la più giovane di età, era lei la personalità dominante e Norma si era lasciata plagiare. Mary dimostrava di saper riconoscere il confine tra giusto e sbagliato e dimostrava, altresì, i sintomi della psicopatia.

Ora, il termine “psicopatia” o “psicopatico” lo usiamo molto spesso, ma credo che molti di noi non abbiano esattamente presente il suo reale significato.

Con “psicopatia” si intende un vero e proprio disturbo mentale con caratteristiche ben precise: comportamento antisociale, carenza o mancanza di empatia e di rimorso, emozioni nascoste, egocentrismo e una spiccata tendenza all’inganno e alla manipolazione. Perciò, la maggior parte degli psicopatici ha comportamenti criminali, aggressivi e violenti. Tuttavia, non tutti gli psicopatici diventano per forza serial killer.

La quasi totale assenza di empatia e l’incapacità di provare rimorso, comunque, possono spiegare il perché questi individui arrivino a uccidere: essi non considerano, infatti, le persone e le vittime come esseri umani, ma come dei veri e propri oggetti da utilizzare e sfruttare a proprio piacimento; non c’è alcuna percezione delle emozioni negative della vittima e la capacità di comprensione dei sentimenti e stati d’animo altrui è meramente superficiale. L’espressione di emozioni di qualche tipo da parte di uno psicopatico è spesso e volentieri fasulla, visto che, di solito, si tratta di semplici risposte cognitive rispetto alle reazioni di chi hanno di fronte. Infatti gli psicopatici non possono innamorarsi: possono provare fascino per qualcuno, ma non possono ricambiare certi tipi di sentimenti, perché non ne sono capaci.

A quanto pare, secondo alcuni esperimenti condotti dai ricercatori, negli psicopatici c’è una sorta di malfunzionamento del sistema limbico, ovvero quella parte di cervello che “controlla” le emozioni. In individui sani, essa si attiva quando si fanno discorsi di stupro, omicidio, carbonara fatta con la panna… insomma, crimini violenti. Negli psicopatici, invece, non si accende neanche una lampadina, la pura indifferenza.

Ci sono miliardi di altre cose da dire sulla psicopatia, ma per il momento mi fermo qui, anche perché, effettivamente, ciò che vi ho descritto finora si applica perfettamente al caso di Mary Bell.

 

Norma, al contrario, mostrava sinceri segni di rimorso e sottomissione… una personalità “normale”, ma plagiabile, insomma.

Mary, al contrario, mentre la bara del piccolo Brian Howe veniva portata via dalla casa, si sfregava le mani e rideva della situazione.

Il 17 dicembre del 1968, venne condannata all’ergastolo per doppio omicidio volontario e, naturalmente, sottoposta a cure psichiatriche.

Norma, invece, venne sollevata da tutte le accuse.

Durante la sua prigionia presso l’unità di sicurezza di Red Bank, all’età di 13 anni, Mary venne stuprata da alcuni membri dello staff, ma solo tre anni dopo venne trasferita.

 

La vita di Mary cambiò nuovamente nel maggio del 1980: dopo essere stata rinchiusa per quasi 12 anni, venne liberata, all’età di 23 anni e protetta dall’anonimato, con un nuovo nome, per poter ricominciare daccapo.

Ed effettivamente fu così: Mary dichiarò che voleva semplicemente tornare a vivere nella tranquillità ed essere lasciata in pace. E quattro anni dopo il suo rilascio, diede alla luce una figlia.

Ovviamente, i dettagli inerenti a lei e al padre non sono disponibili, dato l’anonimato, tranne che per un breve periodo, quando dei reporter, nel 1998, scoprirono l’abitazione di Mary e informarono la figlia del passato della madre. Sembra, però, essere ben chiara una cosa: Mary Bell è stata, contrariamente a qualsiasi previsione, un’ottima madre e, a quanto risulta, anche un’ottima nonna.

 

Alcuni di voi, sicuramente, staranno pensando: “Camilla, come fai a provare empatia per una psicopatica del genere? Ha ucciso a sangue freddo due bambini piccoli, a mani nude e si prendeva gioco della situazione.”

Vero, avete anche ragione… c’è da porsi una domanda: si nasce assassini o lo si diventa?

Diversi studi hanno riscontrato, come ho accennato sopra, a una predisposizione genetica combinata a fenomeni esterni. Ovviamente non ci sono ancora risposte certe, ma direi che già questa conclusione ci porta a riflettere su molte cose.

Milioni di bambini hanno subìto e continuano a subire violenze di ogni tipo, ma non tutti diventano degli assassini seriali, non tutti decidono di sfogare la loro rabbia e il loro dolore su altre persone innocenti. Questa, tuttavia, è la storia, anzi l’inizio della storia di come quasi tutti i serial killer diventino tali. Mary Bell è tra questi.

Ma allora perché per lei provo quasi… compassione? Nessuno giustifica ciò che ha fatto! Ha ucciso due bambini e probabilmente, se non fosse stata fermata, ne avrebbe uccisi anche altri e questo è orribile.

… ma era una ragazzina anche lei, una ragazzina costretta a subire abusi sia fisici che psicologici non solo da parte di completi estranei che approfittavano del suo corpo, ma addirittura dai membri della sua stessa famiglia, dalla donna che l’aveva messa al mondo. Una ragazzina che, forse, non era alla fine così consapevole di cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Nessuno lo è a quell’età, men che meno chi è abituato a ogni genere di torture in maniera praticamente quotidiana.

Secondo me, Mary non era propriamente psicopatica. Era solo una bambina bisognosa di aiuto, di qualcuno che la salvasse.

E infatti, una volta fermata e aiutata, Mary si è dimostrata una persona normale, una madre amorevole e pronta a tutto per difendere la figlia dagli orrori del suo passato, dai crimini che aveva commesso.

Tra l’altro, per chi volesse qualcosa da leggere su questa vicenda, esiste un libro di Gitta Sereny, una giornalista e storica britannica (1921 – 2012), dove riporta scrupolosamente il caso, descrivendo anche il processo, le testimonianze e gli interrogatori: “Il caso Mary Bell – Storia di una bambina assassina”.

Posso arrischiarmi ad affermare che il caso di Mary Bell è uno di quelli in cui il confine tra vittima e carnefice si assottiglia così tanto fin quasi a sparire, anche perché, come diceva Haim G. Ginott, un insegnante, psicologo e psicoterapeuta infantile (1922-1973): “I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta.”

Scritto da Camilla Marino