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Giappone VS Spazio: in orbita con l’ascensore, costruendo satelliti di legno per un universo sostenibile

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È inutile negarlo: l’essere umano è un perenne esploratore, sempre e costantemente alla ricerca di nuovi ambienti e risorse da scoprire, alimentato anche da una non indifferente sete di potere.

In questo senso, ciò che veramente continua ad attrarre l’Uomo, allo stesso modo in cui una falena è attratta dalla luce di un falò, è la conquista dello spazio.

Negli ultimi dieci anni si è intensificato l’interesse verso una vera e propria colonizzazione del cosmo e dei corpi celesti in esso fluttuanti, in primis la nostra tanto amata Luna (ho parlato della corsa al nostro satellite in QUESTO ARTICOLO). E questo nostro obiettivo si estende anche all’aspetto turistico: vi ho esposto in un mio pezzo (che potete leggere CLICCANDO QUI) le tipologie di viaggi più estremi che si possono attuare al momento e tra di essi figurano, appunto, le costose gite spaziali a bordo della Virgin Galactic, la compagnia del Regno Unito fondata nel 2004 dal magnate Richard Benson con lo scopo di organizzare viaggi commerciali verso le stelle. Nel 2021, fu la prima azienda al mondo a raggiungere tale traguardo.

Quindi, oggi voglio esporvi una sorta di “aggiornamento” sulla domanda “a che punto siamo con la corsa allo spazio?”. Quali sono le tecnologie e le sperimentazioni a cui stiamo puntando?

Senza alcun dubbio, le nuove scoperte in fatto di IA si riveleranno estremamente utili per le missioni nell’universo infinito, ma al momento, esistono due studi che stanno catalizzando l’attenzione della comunità scientifica: gli ascensori spaziali, ancora in corso, e i satelliti di legno, in fase di collaudo.

Forse, risulta quasi buffo leggerli in questo modo: il primo sembra un’invenzione uscita da chissà quale romanzo di fantascienza alla Jules Verne, mentre il secondo… beh, sembra quasi un “art attack” di Giovanni Muciaccia… Sperando che non siano stati realizzati con la colla vinilica e le forbici dalla punta arrotondata. Vediamo insieme di che cosa si tratta.

Parlando di ascensori spaziali, ho menzionato i romanzi di fantascienza non a caso: infatti, un’idea primordiale di ascensore verso le stelle, nacque dalla mente del fisico, ingegnere e scienziato russo Konstantin Èduardovič Ciolkovskij, nel 1894.

Considerato oggi come uno dei pionieri dell’astronautica, egli diede molti spunti per quelli che sono gli studi odierni in questo campo e fu il primo in assoluto a teorizzare un vero e proprio elevatore che potesse trasportare l’Uomo dalla Terra allo spazio. Il suo ipotetico progetto, spiegato nel suo saggio “Sogni sulla Terra e sul Cielo e gli effetti della gravitazione universale”, traeva suggerimento dalla struttura della Tour Eiffel di Parigi: essa avrebbe avuto una base molto più grande, per poi far salire un qualsiasi oggetto a un’altezza tale da poter così sfuggire all’attrazione terrestre, con una velocità angolare sufficiente alla sommità della torre, da poter essere lanciato tranquillamente nello spazio.

Tuttavia, Ciolkovskij stesso, dopo una serie di calcoli, si rese conto di quanto fosse irrealizzabile un progetto del genere. I fattori che rendevano questa trovata fallimentare già in partenza, erano principalmente tre: trovare il punto di equilibrio tra la forza centrifuga della torre e la forza gravitazionale terrestre; il diametro mastodontico che avrebbe dovuto avere la base della torre, teoricamente alta all’incirca 36 mila chilometri; trovare un materiale che potesse essere abbastanza resistente da reggere un tale peso per un’altitudine così elevata.

Fu un altro ingegnere russo, Jurij Arcutanov, a partorire una progettazione sicuramente più attuabile, nel 1957: era necessaria la presenza di un satellite geosincrono, ovvero di un satellite la cui orbita corrisponda a quella terrestre, su cui costruire la base della torre, per poi utilizzare un contrappeso (climber) per sostenere il cavo su cui avrebbe viaggiato l’ascensore… che al mercato mio padre comprò.

Ciononostante, uno dei principali punti di riferimento per quanto riguarda la realizzazione di un ascensore spaziale, è Arthur C. Clarke, scrittore di romanzi fantascientifici, scomparso nel 2008, con il suo libro “Le fontane del Paradiso”, pubblicato nel 1979, in cui è presente una struttura analoga costruita dagli ingegneri sul picco di un’isola immaginaria. Tra l’altro, l’orbita geostazionaria terrestre porta il suo nome (Fascia di Clarke), in quanto fu proprio lui a ipotizzare l’uso di satelliti geostazionari per le telecomunicazioni, in un articolo del 1945.

Naturalmente, parlando di orbite, è impossibile non menzionare Johannes Keplero e le sue tre leggi che descrivono il moto dei pianeti e di tutti gli oggetti in orbita nel Sistema Solare.

In breve, i tre teoremi di Keplero sono:

  • I pianeti si muovono su un’orbita ellittica, con il sole situato in un punto fisso del semiasse maggiore.
  • Una linea che collega un pianeta al Sole (chiamata raggiovettore), spazza aree uguali in quantità di tempo uguali.
  • Se la distanza di un pianeta dal Sole aumenta, la velocità del pianeta orbitante deve diminuire, altrimenti il momento angolare totale (una qualità di un corpo in rotazione) sarà cambiato, violando la legge di conservazione.

Fatte queste doverose e storico-scientifiche premesse, nel 2018, il Giappone ha deciso di cominciare a cercare di rendere quest’idea teorica, una realtà futura. Quell’anno, infatti, venne condotto un esperimento da parte di un team dell’Università di Shizuoka, che consisteva nell’utilizzo di due satelliti cubici di 10 cm, di un cavo in acciaio di 10 m teso tra loro e di una scatola motorizzata che si spostava lungo il cavo di traino (climber). Come avrete evinto, si trattava di una semplice sperimentazione in scala, per constatare la effettuabilità del piano. La consulenza tecnica per questo progetto è stata affidata alla Obayashi Corporation.

Cionondimeno, non è l’acciaio il materiale adatto a questo scopo, quanto invece i nanotubi di carbonio.

E che cosa sono? Scoperti nel 1985 dal chimico statunitense Richard E. Smalley, si tratta di particolari strutture atomiche del carbonio, di forma cilindrica: queste strutture si formano di conseguenza ai fullereni, ovvero delle altre strutture di forma sferica che si creano tra gli atomi di carbonio in determinate condizioni.

I nanotubi di carbonio sono 20 volte più resistenti dell’acciaio e sono “l’ingrediente” ideale per la realizzazione di un cavo di traino spaziale.

Eppure, la costruzione di questo elemento non è affatto semplice: basta un singolo atomo fuori posto per far collassare l’intera struttura.

Inoltre, il problema del peso teorizzato dall’ingegnere russo nell’Ottocento, persiste, poiché date le incognite teoriche e pratiche di questo progetto, rischierebbero di spezzare l’ascensore.

Per risolvere questa difficoltà non di poco conto, il professore della York University (Canada) e direttore dello Space Engineering Design Laboratory, Zhen Hong George Zhu, la soluzione sarebbe un ascensore dotato non di uno, ma di due cavi, sui quali possano correre due carichi in direzioni opposte contemporaneamente, in modo da mantenere così l’equilibrio e non apportare troppo peso alla sommità.

Per quanto questa idea sembri essere, al momento, quella vincente, sorge comunque un altro dilemma, quello dei detriti spaziali.

Noi esseri umani non stiamo riempiendo di spazzatura solo la nostra terra e i nostri mari, ma anche la nostra atmosfera, lo spazio circostante, poiché nelle prossimità del nostro pianeta c’è una vera e propria “discarica” di tutti i possibili rifiuti di razzi, satelliti e via dicendo, che ogni tanto ci piovono giustamente in testa.

Ora, immaginate quanto possa essere simpatica una gita sull’ascensore spaziale che viene improvvisamente interrotta da uno di questi frammenti o da un possibile piccolo asteroide. Ecco perché serve la progettazione di una copertura per la struttura, progettazione che ancora non ha visto la luce.

Eppure, il Giappone è pronto a proseguire questi studi, con l’obiettivo di portare la gente nello spazio, in questa maniera, entro il 2050.

Ben più concreti, invece, sono i satelliti di legno, sempre a opera del Giappone, con una collaborazione tra JAXA e NASA. Per chi non lo sapesse, la JAXA è l’Agenzia Spaziale Giapponese, acronimo di Japan Aerospace eXploration Agency.

Nel 2022, infatti, è partito il progetto LignoSat Space Wood Project: a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, con la partecipazione dell’Università di Kyoto e dell’azienda nipponica Sumitomo Forestry (che si occupa di disboscamento e lavorazione del legno soprattutto in campo edile), sono stati sperimentati tre tipi di legno (magnolia, ciliegio e betulla) per testare la loro resistenza nel vuoto cosmico.

L’ambiente spaziale è estremamente ostile, con immensi sbalzi di temperatura, raggi cosmici ed esposizioni alle particelle solari, quindi era di importanza vitale comprendere quanto potesse durare il legno in un habitat come questo.

Le osservazioni sono andate avanti un anno e i risultati sono straordinari: sembra infatti che in assenza di ossigeno e di altri fattori che inneschino il processo di marcescenza, come per esempio la presenza di organismi viventi, il legno resista molto bene. Il migliore nei test si è rilevato essere quello di magnolia, il più resistente, che costituirà il materiale del primissimo satellite di legno che verrà lanciato nello spazio, nell’anno corrente 2024. Il suddetto si chiama LignoSat, intagliato tramite le tecniche tradizionali giapponesi ed è grande più o meno quanto una tazzina da caffè.

Ma perché sentiamo il bisogno di satelliti di legno? Non vanno bene quelli che stiamo utilizzando? Come avevo accennato poc’anzi, i nostri satelliti finiscono in detriti che orbitano attorno al nostro pianeta per poi precipitare rovinosamente al suolo.

I satelliti di legno, invece, non marciscono e nemmeno bruciano, semplicemente si disintegrano al contatto con l’atmosfera, quindi più sostenibili. Taka Doi, ingegnere spaziale presso l’Università di Kyoto, afferma che tutti gli oggetti prendono fuoco a contatto con la nostra atmosfera e che durante questo processo si creano delle particelle di allumina (ossido di alluminio). Queste particelle, galleggiando nell’atmosfera per diversi anni, secondo studi recenti, danneggerebbero lo strato di ozono, andando così a compromettere l’ambiente terrestre. I satelliti di legno ovviano a questo problema, oltreché, come sarà parso lampante, a quello dei detriti spaziali, che nel 2022 risultavano essere più di un milione nell’orbita bassa. Secondo le stime del 2023 dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, i detriti di lunghezza superiore ai 10 cm attualmente in orbita sono oltre 29.000, quelli di lunghezza superiore a 1 cm sono 670.000 e i rifiuti spaziali di lunghezza superiore a 1 mm sono oltre 170 milioni.

Per di più, la presenza di così tanti satelliti metallici nello spazio circostante, è responsabile del 10% dell’inquinamento luminoso nel cielo notturno, provocando diversi intoppi nell’osservazione del cosmo e degli oggetti orbitanti.

Insomma, il Giappone si sta rivelando essere un concorrente di tutto rispetto nella corsa allo spazio, anche perché nel gennaio dell’anno corrente 2024, il Sol Levante è diventato il quinto Paese al mondo ad atterrare sulla Luna, con la sua sonda Smart lander for investigating moon (Slim).

Prima del Giappone, sono stati USA, Russia, India e Cina a compiere questa impresa.

L’allunaggio nipponico dispone di due robot, Lev-1 e Lev-2, grandi come una mano: il primo si occupa delle misurazioni tramite un termometro di bordo, un sensore di radiazioni e di pendenza; il secondo funge da “cameraman” ed è stato progettato dalla Takara Tomy… un’azienda di giocattoli!

I prossimi progetti di tutti e cinque i colossi che puntano al nostro satellite e alle stelle, sono altre missioni di allunaggio, con lo scopo di riportare l’uomo sulla Luna.

In ordine: gli USA hanno in programma di atterrare sul suolo lunare nel 2026, nonostante il lander Peregrine presenti alcuni problemi tecnici; l’India, il primo Paese ad atterrare nelle prossimità del polo sud della Luna, vuole portarci un equipaggio nel 2025; la Cina, il primo Paese in 40 anni a riportare sulla Terra dei campioni freschi del suolo lunare nel 2020, è in gara contro gli Stati Uniti per condurre di nuovo un essere umano sulla Moon; la Russia è leggermente in ritardo, poiché la sua prossima missione è in programma per il 2027.

Qui si conclude il “bollettino spaziale”, con una vera e propria preparazione a mezzi più green e una voglia maggiore di scoprire ciò che risiede al di là del nostro sguardo.

Ciò che era fantascienza si sta trasformando in realtà concreta, in dati scientifici, in un futuro davvero prossimo.

D’altronde, come diceva lo scrittore, sociologo e psicologo sovietico Immanuil Velikovsij (1895 – 1979): “La Terra è la culla del genere umano, ma un uomo non può stare nella culla per sempre.”.

Scritto da Camilla Marino