Privacy Policy

Franz Reichelt: il “sarto volante”

Processed with MOLDIV

Oggi voglio raccontarvi una storia, la storia di un uomo che aveva un sogno, ma che per colpa della fretta di provare la sua invenzione e di una quasi totale mancanza di prudenza, sfortunatamente, non solo non lo realizzò, ma morì nel tentare.

Sto parlando di Franz Reichelt, conosciuto anche come il “sarto volante”. Tra l’altro, l’idea interessante di questo articolo mi è stata gentilmente suggerita da Luigi Scano, che mi segue sulla testata, modenese che però si è trasferito da poco a Parigi, città che conosco bene e ho visitato più volte, perché a quanto pare, secondo una sua informazione, nella capitale francese si trovano centinaia di cartoline e piccole opere d’arte che ritraggono questo episodio. Dunque si è interessato alla vicenda.

E chi era il nostro uomo volante? Si trattava di un inventore austriaco, nato a Wegstädtl (città che ha cambiato il suo nome in Štěti e che oggi si trova in Repubblica Ceca) nel 1878 e deceduto tragicamente a Parigi il 4 febbraio del 1912.

Di professione faceva il sarto, appunto, all’interno del suo atelier parigino, situato in Rue Gaillon (non molto distante dall’Operà), un luogo che riscuoteva un discreto successo soprattutto tra le donne dell’epoca.

Come dicevo, quest’uomo aveva un sogno che poco aveva a che vedere con abiti e vestiti di classe: egli voleva inventare il primo paracadute adatto per i lanci degli aviatori a bassa quota della storia.

Per spiegare il perché di questo suo vivo desiderio, però, è doveroso fare alcuni diversi passi indietro e illustrarvi, in maniera riassuntiva, le “cronache” della creazione del paracadute.

A chi viene in mente il nostro carissimo inventore, scienziato e artista Leonardo da Vinci? In effetti, scommetto che molti di voi avranno delle rimembranze sugli studi effettuati dal genio nostrano in merito alle tecniche di volo degli uccelli e a come esse potessero applicarsi all’essere umano (anche se adesso mi viene in mente Mago Merlino, con la risata di Anacleto in sottofondo nel cartone Disney “La spada nella roccia”…).

Ebbene, forse rimarrete stupiti nell’apprendere che egli non fu il primo a fornire lo spunto per questa idea tanto folle quanto estremamente ingegnosa: infatti, risale agli anni appena successivi al 1470, un disegno realizzato da un autore sempre italiano e anonimo, oggi conservato presso la British Library di Londra, che ritrae un uomo con un rudimentale paracadute di forma conica.

Le teorie elaborate da Leonardo sarebbero state progettate nel 1485, poco più di dieci anni dopo: il primo concepimento fu quello di un paracadute piramidale fatto di lino e inumidito per aumentarne la rigidità. Lo stesso da Vinci era convinto che questa sua realizzazione avrebbe permesso a chiunque di lanciarsi “da qualsiasi altezza senza alcun rischio”, come recita una sua annotazione.

In effetti, il suo pensiero non andava troppo lontano dalla realtà, dato che il paracadute, se vogliamo parlare con un gergo più tecnico, è un deceleratore aerodinamico, in grado di imprimere una forza contraria a quella gravitazionale a una velocità di regime che rallenta la caduta verso il suolo. Questo processo si chiama resistenza aerodinamica.

Il primo vero tentativo sperimentale, nondimeno, avverrà solo nel 1783, grazie a Louis-Sébastien Lenormand, francese che si lanciò dall’osservatorio di Montpellier con una struttura realizzata tramite un telaio rigido di legno, architettata, più che altro, per permettere al malcapitato di turno di salvarsi, per esempio, da un edificio in fiamme, gettandosi nel vuoto.

Foto di Luigi Scano

Nonostante ciò, l’invenzione del paracadute con calotta emisferica viene attribuita universalmente ad André-Jaques Garnerin, che nel 1797 decise di fare un volo di ben 900 metri da una mongolfiera, con il primo paracadute di seta e senza intelaiatura di legno adatto per una persona in volo.

Ho sottolineato “calotta emisferica” perché, in realtà, esistono tre tipi di forme: calotta emisferica, come ho già detto, calotta rientrante e profilo alare. Il primo ha una qualità più frenante e viene maggiormente utilizzato in campo militare, con una capacità di manovra piuttosto ridotta; il secondo, molto simile all’emisferico, tranne che per una fune centrale che fa rientrare verso il basso l’apice della struttura, è più leggero e piccolo, usato soprattutto per il volo in parapendio, in deltaplano o volo libero; il terzo ha un’altissima manovrabilità e per questo è il prediletto in ambito sportivo.

Il paracadute a zaino, praticamente molto simile a come lo concepiamo ai giorni nostri, contenuto in uno zaino, appunto, e che si apre mediante l’ausilio di una cordicella, invece, venne brevettato nel 1912 dal militare russo Gleb Kotelnikov.

Questo fu anche l’anno, come dicevo, di Reichelt: fino a quel momento, difatti, erano stati testati e sperimentati dei paracadute adatti solo all’alta quota, complici anche gli studi sempre maggiori nel campo dell’aviazione, specialmente militare. Mancava qualcosa che potesse essere usufruibile ad altezze minori.

Reichelt impiegò tutte le sue abilità di sarto per creare una tuta-paracadute, un vero e proprio abito che, all’occorrenza, poteva aprirsi come un deltaplano per garantire un atterraggio morbido. In effetti, i primi tentativi, effettuati nel cortile di casa sua, gettando i manichini dal quinto piano, ebbero successo.

La pecca di questa sua invenzione era il carico del dispositivo: pesava ben settanta chili e risultava a dir poco scomodo, con lacune tecniche non trascurabili.

A niente servirono gli avvertimenti da parte dell’Aéreo-Club de France, la più antica e conosciuta istituzione francese di ricerca aeronautica, nata nel 1898 e tra i cui fondatori figura anche il grandissimo scrittore Jules Verne, a cui dedicherò un articolo per la sua immensa creatività. Addirittura, questa istituzione intimò all’inventore di interrompere tutti i suoi progetti, data l’elevata pericolosità della sua opera.

Ma Reichelt non demorse, anzi continuò imperterrito! Cercò in tutti i modi di perfezionare e alleggerire la sua tuta, ma non c’era niente da fare: i manichini si sfracellavano tutti al suolo e lui stesso si ruppe una gamba cercando di testare la sua invenzione!

Probabilmente, la cocciutaggine fu dovuta anche al concorso organizzato dal colonnello Lalance, facente parte dell’Aéreo-Club: il premio messo in palio per il miglior paracadute che non superasse i 25 chili di peso, era di 10 mila franchi. Mica pizza e fichi!

Reichelt era fortemente convinto che i suoi esperimenti fossero fallimentari a causa di una quota di lancio non sufficiente: in poche parole, doveva saltare da più in alto.

Fu così che malgrado tutto, decise di iscriversi comunque al concorso, dichiarando che alle sette di mattina del 4 febbraio 1912, si sarebbe gettato dalla Tour Eiffel, con un una tuta di 9 chili e con un’apertura alare di 30 metri quadri.

I presenti, compreso l’Aéreo-Club, tuttavia, erano convinti che egli avrebbe scagliato nel vuoto un manichino, non sé stesso!

Sul luogo dell’incidente c’erano poche persone ad assistere, colpa anche del freddo barbino, del tempo sfavorevole e del vento gelido che soffiava forte. 

Inutili furono i tentativi da parte degli agenti di polizia di far desistere l’uomo dal compiere la sua impresa: “Voglio tentare io stesso l’esperimento, senza trucchi, perché voglio dimostrare il valore della mia invenzione.”, disse Reichelt, mentre veniva accompagnato da alcuni suoi amici e da un cineasta incaricato di riprendere l’evento dal vivo, sulla prima piattaforma della torre, a un’altezza di 60 metri.

Il filmato, muto, in bianco e nero e accompagnato dalle didascalie, che potete trovare cliccando QUI (ATTENZIONE: IL DOCUMENTARIO IN QUESTIONE CONTIENE IMMAGINI CHE POTREBBERO URTARE LA SENSIBILITÀ DELLE PERSONE PIÙ IMPRESSIONABILI. SE PENSATE CHE IL CONTENUTO POSSA TURBARVI, NON APRITELO.), è a dir poco sconvolgente: si vede Reichelt salire su uno sgabello per accedere meglio al cornicione dal quale si sarebbe buttato; lo si osserva esitare per ben quaranta secondi, un po’ come se, in cuor suo, sapesse che si trattava di una pessima decisione.

Doveva dare ascolto al suo istino, perché al grido di “Á bientôt!” (“A presto!”) rivolto agli spettatori, si gettò nel vuoto, con la tuta che si avvolse inevitabilmente attorno al suo corpo, senza aprirsi.

L’impatto al suolo fu tremendo, descritto in maniera macabramente dettagliata dal giornale Le Figaro: “L’urto fu terribile; un colpo sordo, di una brutalità furiosa. All’impatto, il corpo rimbalzò e ricadde. Ci si precipitò a soccorrerlo. La fronte insanguinata, gli occhi aperti, dilatati dal terrore, le membra spezzate. François Reichelt non dava più segni di vita. Qualcuno si sporse, cercò di sentire il cuore. Era fermo. Il temerario inventore era morto. Allora la vittima, frantumata e disarticolata, venne sollevata; fu caricata su un autotaxi e il povero corpo fu trasportato a Laënnec.”

Il solco lasciato da Reichelt per l’impatto era profondo ben 15 centimetri e l’autopsia rivelò che non fu la caduta a ucciderlo, bensì un attacco cardiaco avuto durante il volo.

Evidentemente, lo spavento e la consapevolezza di una morte violenta e imminente, furono tali da anticipare l’inevitabile.

Reichelt viene ricordato come un “genio pazzo” e fu proprio a causa di questa sua fatale illusione che i controlli per salire sulla torre si intensificarono e divennero ancora più rigidi, tant’è vero che non vi fu più alcuna sperimentazione di volo, almeno fino al 2005.

Quell’anno, un 31enne norvegese, di nascosto e senza autorizzazione, si recò di notte sul secondo livello della Torre Eiffel, per lanciarsi con il paracadute, con lo scopo di farsi riprendere da alcuni amici. Il gesto non fu dettato da semplice goliardia, ma dal tentativo di elaborare una pubblicità per una marca di capi d’abbigliamento giovane.

L’uomo, durante la caduta, andò a sbattere violentemente contro il primo livello della torre, morendo sul colpo.

Foto di Luigi Scano

Beh, l’amata e riconoscibile “dama di ferro”, nome con cui è conosciuta la Tour Eiffel, sfondo di romantiche fotografie, ha il rovescio della medaglia, come tutti gli alti edifici e monumenti, cioè una nomea funesta. Secondo diversi calcoli, dall’inizio della sua costruzione, nel 1887, fino al 2015, sono state circa 370 le persone che hanno deciso, tra incidenti e atti di deliberata follia di tuffarsi di sotto.

Ma come diceva saggiamente Tito Maccio Plauto (250 a.C. Sarsina, FO; 184 a.C. Roma), drammaturgo e commediografo latino: “Non è facile volare senza ali.”.

Scritto da Camilla Marino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *