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TRizio, Caio e Sempronio e altre notizie radioattive

Che ne dite di un bel bicchiere d’acqua radioattiva per rinfrescarvi, dato il caldo che ancora imperversa nonostante l’estate sia quasi ormai arrivata al capolinea?
Se ne avete voglia, recatevi alla centrale nucleare di Fukushima, dato che il 24 agosto dell’anno corrente 2023, alle ore 13:00, è cominciato il rilascio nell’oceano Pacifico dell’acqua utilizzata per il raffreddamento dei reattori della suddetta centrale, dopo il disastro avvenuto l’11 marzo del 2011.

Anche perché il parlamentare giapponese Yasuhiro Sonoda, per dimostrarne la decontaminazione, ne ha bevuto un sorso in diretta davanti ai giornalisti.
Mettendo da parte l’ironia, non si fa che parlare di tale avvenimento e tante sono le controversie e le congetture in merito, così come sono tanti i punti di domanda in sospeso nella popolazione mondiale, probabilmente non ben conscia della situazione.
Nei miei sondaggi ho avuto anche modo di constatare che, in effetti, dilaga una certa ignoranza (termine assolutamente non dispregiativo, ma nel senso di ignorare l’argomento) per quanto riguarda il nucleare in generale.

Yasuhiro Sonoda mentre beve l'acqua di Fukushima

E anche se non sono una fisica nucleare e lungi da me voler salire in cattedra, mi sono documentata in maniera piuttosto approfondita e vorrei dunque cercare di condividere e spiegare nel modo più semplice possibile le dinamiche dell’incidente di Fukushima, i dettagli inerenti al rilascio dell’acqua radioattiva nel mare e analizzare, in seguito, quali possano essere, in maniera del tutto imparziale, i pro e i contro dell’energia nucleare.
Vi accennerò anche alcune scoperte sulle possibili future tecnologie in merito e vi elencherò anche una serie di incidenti gravi, non sempre ricordati, avvenuti nel corso della storia del nucleare.

Tra l’altro, sapevate che il simbolo legato al nucleare e che sembra gridare PERICOLO da chilometri di distanza è nato nel 1946?

Il disegno originale, creato da un team di scienziati capitanati da Nels Garden del Radiation Laboratory dell’Università della California, era lo stesso di oggi, ma di colore violetto. Negli USA, a volte, è ancora possibile vederlo con questa tonalità.

Il simbolo in sé, a detta degli scienziati, doveva risultare d’impatto per chiunque lo osservasse, per far comprendere la pericolosità dell’energia nucleare: infatti, si tratta di un disegno stilizzato di un atomo che sprigiona energia.

Ogni tanto, si può incappare anche in un altro disegno, introdotto dalla ISO (l’organizzazione internazionale che controlla la gestione degli standard del globo) nel 2007, molto più didascalico: il simbolo del nucleare accompagnato da tre raggi mortali che colpiscono un teschio stile “One Piece”, con un omino che scappa.

Decisamente chiaro ed esaustivo…

Parto innanzitutto, con quanto accaduto quel fatidico giorno del 2011 (non a opera di un Kaijū stile Godzilla, per quanto possa essere credibile un attacco da parte di un mostro gigante in Giappone, considerata la loro cultura manga): la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, situata a Naraha, sulla costa orientale del Giappone, venne colpita da un terremoto violentissimo, il più forte mai registrato nella terra del Sol Levante e il quarto più potente nella storia (storia che parte dal 1900, con l’avvento delle strumentazioni moderne capaci di registrare tali fenomeni). Infatti il grave evento sismico segnò magnitudo 9 sulla scala Richter.

Per fare un minimo di chiarezza, quando si parla di terremoti, si menzionano sempre due scale: la Richter e la Mercalli.
La prima, creata dal fisico e sismologo statunitense Charles Richter nel 1935, evidenzia, appunto, la magnitudo, ovvero l’energia sprigionata dal terremoto dal punto di vista strumentale, partendo dall’ipocentro (la zona d’origine di un terremoto, da non confondere con l’epicentro, ovvero il punto sulla superficie terrestre corrispondente all’ipocentro).
La seconda, introdotta nel 1902 da Giuseppe Mercalli, indica, invece, la potenza di un terremoto in base ai danni subiti da edifici e popolazione.
Ne consegue, dunque, che i valori delle due scale non sono sempre direttamente proporzionali, poiché un terremoto avvenuto nel bel mezzo del nulla, all’incrocio col niente, nella prefettura del non si sa dove (dunque lontano da qualunque centro abitato), può avere un alto livello nella scala Richter, ma bassissimo sulla Mercalli. Viceversa, un terremoto con un valore Richter nella media, può procurare ingenti danni, tali da far schizzare i numeri sulla scala Mercalli.
I valori della scala Richter si esprimono con i numeri arabi (da 0 fino a salire), mentre la Mercalli si misura con i numeri romani tra I e XII.

Scala Mercalli

Dopo questo breve momento da dipartimento scuola educazione, torniamo al disastro nucleare di Fukushima.
Come dicevo, quel giorno il terremoto segnò una magnitudo 9 sulla scala Richter, con l’epicentro a 72 km dalla costa e a 29 km di profondità, nell’Oceano Pacifico.
Non fu quello, tuttavia, la causa del disastro, dato che, al momento della scossa, i reattori della centrale si spensero automaticamente secondo il protocollo di sicurezza SCRAM (acronimo di Safety Control Rod Axe Man, l’arresto di emergenza).
Il vero problema fu il maremoto generato dall’evento sismico: le onde superarono le barriere (a questo punto “non”) protettive, non abbastanza alte da fungere al loro scopo, inondando e distruggendo i generatori di emergenza che nel frattempo si erano attivati per raffreddare i reattori. L’improvvisa interruzione di corrente fu la causa delle quattro esplosioni che avvennero nelle ore e nei giorni successivi all’interno dei vari edifici del complesso. Ovviamente, il rilascio di scorie nell’aria e nel terreno fu automatico e venne evacuata tutta l’area compresa in un raggio di 20 km.
La catastrofe fu così catastrofica (i giochi di parole quelli belli), che fu classificata al livello 7 della scala INES (International Nuclear and radiological Event Scale, la scala internazionale di tutti gli eventi nucleari e radiologici proposta dall’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, nel 1989).
Lo stesso livello raggiunto dal tristemente celebre disastro nucleare di Chernobyl (potete trovare informazioni inerenti in altri miei due articoli, uno sulle mutazioni genetiche degli animali della zona nel corso del tempo e uno sul turismo estremo della città di Pripjat, potete cliccare QUI e QUA).
Ma a differenza di Chernobyl, non fu l’incendio ad alimentare la dispersione di radionuclidi nell’aria. Il guaio fu la perdita di materiale radioattivo nell’oceano, una perdita dai risvolti ancora incerti al giorno d’oggi.

Ma dal 2011 fino ad adesso, i giapponesi non sono stati con le mani in mano e hanno filtrato il più possibile l’acqua di raffreddamento dei reattori.
È qui che parte la controversia odierna: l’acqua radioattiva sta venendo rilasciata nell’oceano e l’operazione di smaltimento finirà fra 30 anni.
E ora cercherò di rispondervi, in parole semplici, alla fatidica domanda: l’acqua di Fukushima è pericolosa?
La risposta dell’AIEA e di molti scienziati verte sul no, la mia da profana è sul “sembrerebbe al momento di no”.

IAEA è il nome internazionale, AIEA è la traduzione nostrana

Seguitemi un attimo, perché ora sparerò una serie di termini chimici un po’ simpatici.
L’acqua di Fukushima, nel corso di questi anni, come dicevo, è stata filtrata, filtrata e ancora filtrata, tramite un processo chiamato Advanced Liquid Processing System, con lo scopo di eliminare il maggior numero possibile di radionuclidi radioattivi. Il risultato? Nell’acqua dei reattori di Fukushima, pari a 1,34 milioni di tonnellate, è rimasto solo il trizio.

E che cos’è il trizio? Il trizio è un isotopo dell’idrogeno.
Ora, bisogna tenere a mente che TUTTI gli elementi chimici presenti nella “tavola periodica degli elementi” dispongono naturalmente di isotopi o nuclidi.
Il nuclide non è altro che un atomo con uguale numero di massa (ovvero la somma di protoni e neutroni presenti nell’atomo, protoni e neutroni insieme si possono riassumere nel termine nucleoni) e con uguale numero atomico (il conteggio unicamente dei protoni che formano l’atomo… quante volte sto dicendo la parola atomo? La mia professoressa di chimica del liceo mi avrebbe chiesto un sinonimo, qualcuno me lo trova?).
Gli isotopi, al contrario dei nuclidi, hanno invece un numero di massa e un numero atomico differenti.
Dicevo, l’idrogeno, naturalmente, dispone del nuclide deuterio, dell’isotopo trizio e dell’isotopo prozio (che non è il prozio centenario che vi lascerà una cospicua eredità andando al campo santo).

Un atomo di idrogeno, uno di deuterio e uno di trizio

Deuterio e trizio (e sempronio… ah no erano altri due i tizi) vengono utilizzati insieme per creare la fusione nucleare (in parole poverissime, altrimenti mi esce un volume di chimica con la stessa lunghezza dei romanzi di Umberto Eco), tanto per intenderci.
Il filtraggio effettuato a Fukushima ha eliminato anche i sali minerali contenuti all’interno di quell’acqua, creando così l’acqua distillata (un altro di quegli oggetti di studio alla pari delle barbabietole da zucchero, base per altezza diviso due e la Mesopotamia con le ziqqurat).
Il trizio è l’unico isotopo radioattivo rimasto poiché chimicamente legato all’ossigeno dell’acqua, quindi impossibile da separare. Ma a quanto sembra, le dosi di tale isotopo sono davvero minuscole: infatti, del miliardo e passa di litri d’acqua presenti, l’acqua triziata (quindi l’acqua il cui atomo di idrogeno è stato sostituito da un atomo di trizio) corrisponde a soli 20 g.
Come dicevo, l’operazione di smaltimento di quest’acqua nell’oceano non avviene dall’oggi al domani tutta di botto, ma avverrà nel corso di 30 anni, un po’ di litri alla volta. Si tratta di una mossa studiata appositamente perché il trizio si disperda bene nell’oceano in maniera molto graduale.

Bene, dopo aver assimilato queste informazioni molto tecniche, mi è venuto spontaneo domandarmi: il trizio è già presente in natura?
La risposta è sì, poiché come dicevo sopra si tratta di un isotopo dell’idrogeno e ogni elemento della tavola periodica dispone naturalmente di nuclidi e/o isotopi. L’acqua è formata da atomi di ossigeno e idrogeno, ne consegue che l’acqua, già di per sé, possa contenere una percentuale di trizio.
Inoltre, il trizio viene ottenuto tramite la reazione chimica che ha luogo quando i raggi cosmici entrano in contatto con l’azoto della nostra atmosfera, finendo quindi nei nostri oceani e sul nostro terreno attraverso la pioggia.
Ovviamente, il trizio aumenta proprio a causa dell’operato dell’uomo in ambito nucleare.

Inoltre, bisogna tenere a mente, che non solo il trizio è già presente nell’acqua dei nostri mari, ma che in essa sono contenuti, sempre naturalmente, altri elementi radioattivi, come il Potassio 40, lo stesso elemento contenuto nelle banane.
Ma nessuno è mai uscito da una nuotata in mezzo al mare con un braccio in più, né le banane sono mai state responsabili della comparsa di un terzo occhio. Questo perché il Potassio 40, diluito nell’oceano, è in una quantità talmente irrisoria che il nostro corpo lo sopporta senza alcun problema. Così come il Potassio 40 che contengono le banane non è una dose che ti uccide.

Teoricamente, dunque, l’acqua di Fukushima non sarebbe affatto pericolosa per la nostra salute, poiché secondo un calcolo effettuato da Luca Romano (autore de “L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare”), per poter registrare degli effettivi danni al nostro fisico, bisognerebbe berne almeno 22 litri al giorno per un anno intero.
Inoltre, il trizio ha un decadimento (cioè quando il numero di particelle diminuisce progressivamente nel tempo e si trasformano, attraverso processi radioattivi o di altro genere in altre, diverse) più basso rispetto ad altri componenti radioattivi e non si accumula biologicamente nel nostro corpo.

Intanto, la Cina ha messo un freno categorico all’importazione dei prodotti ittici provenienti dai mari del Giappone, poiché non si è effettivamente a conoscenza delle conseguenze che il rilascio dell’acqua triziata possa avere sui pesci pescati, poi venduti, cotti e mangiati.
Naturalmente, se si ascolta un’altra campana, il vero motivo per cui la Cina avrebbe interrotto questo tipo di mercato, non è da ricercare in una questione sanitaria, quanto in una questione di marketing: in quanti comprerebbero un branzino esplicitamente definito “radioattivo”? Ve lo dico io: nessuno (o perlomeno, un quantitativo di persone che si possono contare sulle dita di una mano).

Per quanto mi riguarda, posso dire di avere un’opinione perfettamente a metà. Se da una parte penso che abbiamo le competenze e le tecnologie tali da poter capire che l’acqua triziata non fa male, dall’altra non fa altro che venirmi in mente quella scena demenziale sul nucleare del film “Una pallottola spuntata 2 e mezzo” con Leslie Nielsen, dove si decanta l’energia nucleare come pulita e sicura e poi, a sorpresa, compare un cane con due code.

La scena tratta dal film "Una pallottola spuntata 2 1/2"

Se ci riflettiamo, anche quando venne scoperto il radio furono divulgati presunti studi scientifici che dichiaravano quanto il radio facesse bene alla pelle o ai denti nei prodotti di cosmetica, nei dentifrici, nei vestiti e negli alimenti (ho scritto un articolo in merito e sul signor Byers, l’uomo radioattivo, potete leggerlo cliccando QUI).
Sì… grandi studi scientifici… infatti si ritrovarono tutti con tumori di ogni sorta.

Un bel tubetto di dentifricio al radio, accompagnato dalla sua campagna pubblicitaria

Con questo, sto facendo una campagna contro il rilascio delle acque di Fukushima?
No, non esattamente. Dico solo che, personalmente, starei un attimo in guardia, poiché nessuno parla di ciò che può accadere sul lungo termine.
E poi diciamocelo tra amici, l’AIEA che viene fuori con “L’acqua triziata fa male”, sarebbe un po’ come un’armeria che reca all’ingresso una bandiera per la Pace: bancarotta e perdita di credibilità tra 3, 2, 1…
(Se volete comunque una spiegazione ancora più approfondita e specifica sull’acqua di Fukushima, vi consiglio il video pubblicato su YouTube da Geopop, che potete guardare cliccando QUI)

Comunque, ciò mi porta inevitabilmente alla domanda: quali sono i pro e i contro dell’energia nucleare?
Per poter rispondere, devo però necessariamente delineare, brevemente, come funziona una centrale nucleare.
Essa produce energia elettrica attraverso il calore generato dalle reazioni nucleari. Una fissione nucleare non è altro che un neutrone che colpisce gli atomi di uranio e plutonio, che, di conseguenza, si dividono all’interno del nocciolo della centrale, protetto da barre realizzate in cadmio, argento, indio o carburi di silicio.

L’uranio è un minerale radioattivo scoperto nel 1789 da M.H. Klaphrot (il nome del minerale deriva dal pianeta Urano, ruotante nel nostro Sistema Solare e scoperto proprio in quegli anni), molto presente in natura all’interno di un gran numero di rocce nella crosta terrestre e per estrarlo ci vogliono numerose precauzioni, dato che anche a dosi non letali può provocare ingenti danni al corpo umano, accumulandosi in ossa e reni.

(Perché ora sto immaginando il signor Burns de “I Simpson” che brilla al buio in mezzo alla foresta dicendo “Vi porto amore”, con la musica di “X-files” di sottofondo? Per forza tutta Springfield l’ha scambiato per un alieno!)

"Salve ragazzi, vi porto amore."

I maggiori produttori al mondo di uranio sono Kazakistan, Canada e Australia, ma anche in Italia non mancano piccoli giacimenti di questo minerale: fu aperta una miniera a Novazza, un paesino tra Bergamo e Sondrio, che venne prontamente chiusa dopo il referendum dell’87.
Il plutonio, scoperto nel 1941 dal Dottor Glenn T. Seaborg e da Edwin McMillian, è ancora più radioattivo dell’uranio, molto meno presente in natura e generato più sinteticamente in laboratorio dalla mano dell’uomo, che lo ricava dall’uranio.

Comunque, all’interno dei tubi che circondano il nocciolo scorre dell’acqua che viene riscaldata da tutto questo processo. Il vapore dell’acqua calda attiva poi il generatore di corrente della centrale nucleare ed ecco l’energia.

Ora che si ha ben chiaro (ricordo, in maniera estremamente sintetizzata e riassuntiva) come funziona una centrale che va avanti a uranio e plutonio, si può passare ai pro e ai contro.
Innanzitutto, a differenza dei combustibili fossili che vengono ancora usati oggigiorno, l’energia nucleare è energia pulita, senza alcuna emissioni di CO2 (anidride carbonica) o altri agenti inquinanti nell’aria.
Un’energia che è molto più potente del petrolio, del carbone o del gas naturale, in quanto basta 1 kg di uranio (che detta così sembra che l’uranio si possa trovare dal salumiere insieme a quattro etti di prosciutto cotto) per generare l’equivalente di 80 tonnellate di petrolio, 120 di carbone e 60 di gas naturale.

Inoltre, anche a livello di occupazione del terreno, una centrale nucleare ha bisogno di molto meno spazio rispetto a molti altri tipi di centrale energetiche di cui già si dispone. Un eloquente articolo sempre di Geopop (lo seguo molto), indica che una centrale nucleare occupa uno spazio 360 volte più piccolo di un impianto eolico e 75 volte inferiore a uno solare.
Continuando con i confronti ad altri modi di creare energia, quello nucleare non ha pause, non viene dettato da condizioni ambientali sfavorevoli come nei casi delle fonti di energia rinnovabile (dove se non c’è vento, la pala eolica non gira da sola, per esempio, neanche soffiandoci addosso).
E allora cosa si aspetta? Andiamo tutti a scavare nella montagna per prenderci l’uranio (ma anche no) e andiamo a vivere a Springfield (“I Simpson” docet).

Solo io, nel guardare questa immagine, sento già nella mia testa la siglia de "I Simpson"?

Però però però, non è tutto oro quello che luccica.
Innanzitutto, l’estrazione dell’uranio non avviene facendo “Wingardium Leviosa” con la bacchetta di Harry Potter: scavare nella montagna comporta l’utilizzo comunque di macchinari a combustibili fossili, quindi la dispersione di CO2 ci sarebbe comunque, anche se in quantità decisamente più ridotta. In più, l’uranio, essendo una risorsa naturale, non dura per sempre, come qualunque altra risorsa naturale che questo meraviglioso pianeta ci offre ogni giorno. L’impatto ambientale per la sua continua estrazione sarebbe davvero ingente, nonché dispendioso a livello economico, perché tirare su una centrale nucleare non richiede di certo due lire (o due euro, per i più giovani che leggono e che non hanno mai neanche visto come sia fatta una lira) e nemmeno richiede poco tempo, visto che le tempistiche medie di costruzione di una centrale nucleare si aggirano attorno ai 7 anni.

Per non parlare delle grosse problematiche legate allo smaltimento delle scorie radioattive, dato che è impossibile annullare la radioattività di un elemento e bisogna aspettare dunque che la natura faccia il suo corso e che la radioattività dell’elemento decada per conto suo. Il punto è che per aspettare che ciò accada, il tempo è estremamente variabile e spesso si traduce in anni di attesa. Servono dunque strutture adeguate affinché si possano isolare queste scorie dall’ambiente, in modo da non intaccarlo durante il processo di decadimento. In pratica, una discarica per i rifiuti nucleari (in un’Italia dove crollano i ponti e dove c’è un continuo magna magna sui materiali… continuate voi il pensiero).

E non dimentichiamoci del contro più contro della lista dei contro: l’Uomo. Ammettiamolo, pecchiamo di superbia e negligenza in ogni nostro progetto, riuscendo a combinare solo casini. Stiamo inquinando il nostro pianeta con tonnellate di plastica, con uno sfruttamento “Babilonico” delle risorse naturali, dello spazio geografico disponibile, delle forme di vita che costellano la nostra Terra.
Basta un errore di distrazione, una svista, un “Ma sì, risparmiamo tempo e denaro”, per poter scatenare disastri di proporzioni bibliche.
Sappiamo cos’è successo a Chernobyl: un incidente dettato dalla negligenza umana, non dall’uranio che è impazzito perché gli andava.
Noi esseri umani non siamo ancora in grado di controllare tale energia e se questa energia si scatenasse come si è scatenata con Chernobyl e Fukushima, i danni all’ecosistema e alla nostra salute si protrarranno sul lunghissimo termine e alcuni saranno irreparabili.
Migliaia di persone sono morte a causa delle radiazioni, centinaia di esemplari di flora e fauna idem, gli animali hanno dovuto mutare geneticamente per poter sopravvivere (e vi rimetto il LINK al mio articolo sulle mutazioni animalesche).

Anche perché, nella storia, non sono state solo Chernobyl e Fukushima le rappresentati dei pericoli legati all’energia atomica.
Il 29 settembre del 1957, infatti, avvenne un’altra gravissima disgrazia, insabbiata però per quasi vent’anni, fino al 1976: sto parlando dell’incidente di Kyštim, catalogato al livello 6 della scala INES, appena sotto Chernobyl e Fukushima.
L’impianto nucleare in questione era quello di Majak, un sito militare appartenente all’ex Unione Sovietica.
Ci fu un guasto al sistema di raffreddamento di una cisterna, che provocò l’esplosione chimica (non nucleare) di questa cisterna. Ma nonostante non fosse avvenuta un’esplosione effettivamente nucleare, nell’aria vennero dispersi così tanti radionuclidi che le autorità decisero di aspettare che la pioggia li depositasse al suolo sotto forma di polvere radioattiva, prima di poter intervenire e contenere ulteriormente i danni.
Ai giorni nostri, la zona viene indicata come sicura… ma i contatori Geiger continuano a suonare.

La centrale di Kystm
Ciò che ne resta
Questa mappa mette in evidenza la zona contaminata dall'incidente di Kystm

Sempre quell’anno, ma circa un mese dopo, avvenne un altro grave incidente, al livello 5 della scala INES: a Windscale, in Inghilterra, nella centrale nucleare di Sellafield, il nocciolo si fuse! La nube radioattiva che ne conseguì fu talmente vasta da coprire una buona porzione dell’Europa settentrionale e la sua radioattività fu pari a un decimo di quella della bomba sganciata su Hiroshima, tanto che non solo vennero registrati 300 morti (ufficialmente, ma il numero può essere più alto) a causa delle radiazioni, ma ancora oggi è vietato consumare il latte prodotto in quella zona in un raggio di 50 km.
E poi… il nome Windscale non esiste più sulle mappe, al suo posto c’è Sellafield, ma della centrale nucleare non rimane più niente, solo un centro abitato che ha “coperto” ciò che restava delle torri dell’impianto.

Ma anche i nostri amati USA non sono stati esenti da disastri di questo tipo: un esempio può essere l’incidente avvenuto nel 1961, con l’esplosione di un reattore in Idaho, dove le radiazioni colpirono tre uomini, uccidendoli, e resero i loro corpi così radioattivi da costringere le autorità a tagliare mani e teste dai cadaveri, per poterle seppellire insieme ad altre scorie nucleari.

L'incidente in Idaho

Ma ovviamente, menzionando gli Stati Uniti, non può non saltare alla memoria un altro disastro imponente e di grande rilevanza storica: l’incidente di Three Mile Island, avvenuto il 28 marzo del 1976, a causa di una parziale fusione del nocciolo. Fortunatamente, non sono state registrate morti (almeno non ufficialmente), ma ci fu comunque un’importante dispersione di materiale radioattivo nell’aria, tanto da registrare, nel corso degli anni successivi, un picco consistente di tumori e cancri nella popolazione abitante nel raggio di 12 km dalla centrale, situata sull’omonimo isolotto in Pennsylvania. Per quanto le autorità cercassero di sminuire i danni, affermando che le radiazioni erano l’equivalente di una scansione a raggi X (dove l’ho già sentita questa “perla”? Ah sì, nella miniserie televisiva capolavoro “Chernobyl”, che ricostruisce fedelmente i fatti dell’86. Guardatela!), i danni spinsero il governo a non costruire più altre centrali nucleari sul suolo americano.
Eh comodo insabbiare tutto, vero?

L'incidente di Three Mile Island

E credetemi quando vi dico che di incidenti simili, se si spulcia bene la storia, ce ne sono stati a decine e decine, anche qui in Italia, dove nel 1967 venne chiusa, per la durata di tre anni, la centrale nucleare di Trino Vercellese a causa di un “problemino” con le barre di combustibile. Problemino che ha portato chi di dovere a scaricare per un bel po’ di tempo ingenti quantità di trizio nel fiume Po.

La centrale di Trino Vercellese

Tra l’altro, io vi ho menzionato una piccola percentuale degli incidenti nucleari ufficiali. Ma se si scava nel sottobosco, si possono scoprire diversi avvenimenti su cui certi governi non hanno osato aprire bocca, tenendo all’oscuro la popolazione per diverso tempo.
Un esempio è quanto avvenuto a Torness, in Scozia, a poche decine di chilometri da Edimburgo: per errore (“Errare è umano, perseverare è diabolico” non me la sono inventata io, ma i latini con “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”), è fuoriuscito del liquido radioattivo dalla centrale, che ha contaminato la falda acquifera.
Qualcuno conosce nel dettaglio i danni causati da ciò?
Qualcuno conosce il livello di radiazioni nella falda acquifera?
Qualcuno sa dove si possano reperire informazioni in merito?
Ovviamente, no.

 

Nonostante ciò, l’energia nucleare viene già sfruttata anche ampiamente da diversi Paesi nel mondo. Infatti, sono più di 400 le centrali nucleari attualmente in funzione, in 31 nazioni sparse in quattro continenti e non tutte sono completamente a norma, ciò è alquanto allarmante.

L’Italia ne ha usufruito tra il 1963 e il 1990, con la costruzione di ben cinque centrali sul territorio nazionale. Addirittura, nel 1966 l’Italia era il terzo produttore mondiale di energia nucleare, dopo USA e Regno Unito! Con il referendum del 1987 (conseguente al disastro di Chernobyl avvenuto l’anno prima), tuttavia, si prese la decisione di chiuderle tutte, quindi, al momento, il nostro Paese non dispone di energia o armi atomiche, ma fa comunque parte del programma di condivisione nucleare della NATO, ovvero un programma che prevede, appunto, la condivisione di armi nucleari da parte delle nazioni che ne dispongono.
Tradotto, se l’Italia volesse lanciare un missile nucleare perché entrata in guerra, uno Stato facente parte della NATO e che possiede armi atomiche, gliene può prestare uno (Grazie, lo apprezzo molto.).

Nonostante ciò, siamo comunque circondati da centrali atomiche.
A partire dalla Svizzera, dove le centrali nucleari ivi presenti sono classificate tra le più pericolose al mondo!
Questo perché non rispettano uno dei protocolli di sicurezza per eccellenza: la distanza minima da un centro abitato.
Infatti, secondo uno studio riscontrabile nel “Rapport sur la vulnérabilité de la Suisse” e pubblicato da Sortir du nucléaire Suisse, solo la città di Basilea si trova in un raggio di azione di soli 50 km da tutte e tre le centrali svizzere.
Insomma, a quanto pare Springfield esiste sul serio… e si trova in Svizzera! Tra l’altro, è grottescamente comico il fatto che la Svizzera se ne stia bella tranquilla con questi dati alla mano, quando nel 1957 fu uno dei membri fondatori dell’AIEA (fu nel 1950 che prese piede lo sfruttamento dell’energia nucleare a livello mondiale).
Tuttavia, il punto cruciale non sembrerebbe, al momento, una falla nella sicurezza degli impianti, ma “solo” la vicinanza ai centri abitati principali (dici poco?).

Una mappa delle centrali nucleari presenti in Svizzera

Se si va in Francia, poi… sappiate che il 70% dell’energia dei nostri amici amanti delle baguette, è di origine nucleare, con ben 56 centrali in funzione, assicurandosi una medaglia d’argento sul podio dei Paesi con più centrali nucleari al mondo. Al primo posto, naturalmente, non possono non esserci gli USA, con 92 impianti, mentre la medaglia di bronzo se l’aggiudica la Cina con 55 strutture.

L’Ucraina può “vantarsi”, per così dire, della presenza della più grande centrale nucleare d’Europa: la centrale di Zaporizhzhia.
Problemi più seri si riscontrano, invece, nella centrale di Kuosheng a Taiwan, poiché le vasche di smaltimento hanno raggiunto il loro limite massimo e hanno dovuto riversare gruppi di combustibile esaurito vecchi di 15 anni all’interno delle piscine della TAIPOWER, la società dei servizi pubblici di Taiwan.
Il rischio principale? Che si ripeta un’altra Fukushima, innanzitutto.
Il conflitto Russia – Ucraina accentua ancora di più i possibili pericoli, dato che aumentano le probabilità di un conflitto nello Stretto di Taiwan. E quanto può giocare una guerriglia nei pressi di una o anche più centrali nucleari con le vasche di smaltimento al completo?
La soluzione più sicura da adottare sarebbe quella di trasportare il combustibile esaurito lontano dall’isola.

La centrale ucraina di Zaporizhzhia
La centrale di Kuosheng, Taiwan

Ma sicuramente, l’impianto nucleare più pericoloso al mondo quello di Metsamor, situato in Armenia (detta così sembra, uscita da “Il Signore degli Anelli”).
Non solo gli impianti sono vecchi e antiquati, risalenti ai tempi dell’ex Unione Sovietica (infatti la centrale fu costruita nei primi anni ‘70), ma sono collocati in una zona altamente sismica.
Persino l’ex URSS decise di chiuderla nel 1989, dato che l’anno prima era avvenuto un terremoto catastrofico a soli 75 km di distanza dalla centrale, un terremoto che aveva comportato ben 25 mila vittime.
Tuttavia, con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e il bisogno di energia (a seguito di un isolamento conseguente ai conflitti tenutisi in Turchia e Azerbaigian, Stati confinanti), l’Armenia, ormai diventata uno Stato indipendente, riaprì i battenti della centrale nel 1995.
Il rischio legato al territorio, tuttavia, rimane sempre bello alto.

La centrale di Metsamor, in Armenia

Ciononostante, bisogna comunque riconoscere il progresso scientifico in questo campo, poiché, per il momento solo in maniera sperimentale, è forse possibile ridurre a zero la produzione di scorie radioattive, grazie agli impianti di quarta generazione (le generazioni degli impianti nucleari si calcolano in base ai materiali usati, ai metodi di raffreddamento e via dicendo, per farla breve) che, anziché sfruttare la FISSIONE nucleare (molto incontrollabile), si appoggerebbero alla FUSIONE nucleare, un procedimento chimico mediante il quale i nuclei di due o più atomi si uniscono per formare il nucleo di un nuovo elemento chimico.

Lo schema di un impianto di quarta generazione
La differenza tra FISSIONE e FUSIONE nucleare

Nonostante le promesse incoraggianti sull’azzeramento dei rifiuti radioattivi e sulla produzione di ancora più energia di quanta se ne utilizzi, la fusione nucleare rimane comunque una reazione molto pericolosa: se avvenisse un’esplosione, si disperderebbe un numero troppo importante di trizio nell’aria.
È stato testato in America (più nello specifico dal MIT, Masachusetts Institute of Technology), con risultati bisogna dire ottimali, il piccolo reattore Sparc, un reattore, appunto, in cui avviene la fusione nucleare con una nuova tecnologia basata sui campi magnetici. I campi magnetici in questione servono a contenere la nuvola di plasma che si genera a seguito della fusione.

Alcune immagini che mostranoil reattore SPARC

E si tratta di fusione nucleare anche con il progetto ITER, la cui realizzazione coinvolge ben 35 Paesi nel mondo, tra cui l’Italia. La differenza tra ITER e SPARC sta nelle dimensioni: il primo, infatti, ha le proporzioni di una centrale elettrica, mentre il secondo è molto più piccolo (per la precisione, sessantacinque volte più piccolo). Ne conseguirà che lo SPARC sarà meno potente come reattore, ma i suoi campi magnetici saranno, al contrario, più forti.

Una rappresentazione del progetto ITER

Per il momento, si tratta di innovazioni ancora sperimentali, ma i dati alla mano sembrano promettenti.
Rimane il fatto che l’energia nucleare, se controllata, può essere una risposta valida alle problematiche legate all’ambiente, al cambiamento climatico, allo sfruttamento assiduo dei combustibili fossili, come sottolinea il regista americano Oliver Stone in una sua pellicola: un documentario a favore del nucleare intitolato “Nuclear Now”, presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2022 (vi linko QUI il sito dove è possibile vedere il trailer e leggere alcune delle dichiarazioni lanciate dal regista durante una sua intervista).

Nel caso di un incidente nucleare, comunque, ecco alcune precauzioni da prendere.
Innanzitutto pregare, scappare urlando e lanciare tutte le parolacce e imprecazioni che si hanno in corpo.
In realtà no, sarebbe meglio rifugiarsi all’interno di un edificio, chiudere porte e finestre, spegnere gli impianti di aria condizionata e prese d’aria esterna, portare con sé gli animali domestici (o gli animali che riuscite a salvare), farsi una doccia (no, non perché puzzate) per lavarsi le parti del corpo più esposte alle radiazioni, bere acqua in bottiglia chiusa e mangiare alimenti da confezioni sigillate.
Non bisogna consumare latte e verdure freschi del luogo; non pescare, non cacciare, non mangiare la carne degli animali allevati sul posto (precauzioni suggerite anche in Italia dopo la tragedia di Chernobyl).
E ora, dopo tutta questa mia serie di pillole di informazione, concludo pensando che in fondo, come diceva Efisio Melis, non un fisico nucleare, ma un musicista italiano (1890 – 1970): “Atomo più atomo, si crea l’uomo. Atomica più atomica, l’uomo si distrugge.”

Scritto da Camilla Marino