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Gaspare Bertolini: il maestro che racconta Favignana attraverso le intense e originali pennellate della sua arte

L’isola di Favignana è tante cose: è mare, è vento, è terra, è storia.
Ma è anche arte. Non solo perché è un piccolo gioiello creato da Madre Natura, ma anche perché le persone che vi abitano narrano l’isola ognuna a modo proprio.

Chi con i racconti, chi con la cucina, chi con la scultura, chi con la musica e chi con la pittura.

Una di queste è Gaspare Bertolini, un pittore siciliano stanziato qui, nato nel 1961.
E sottolineo la parola “pittore”: perché mai, direte voi?
Perché mi ha colpita la risposta alla domanda: “Che lavoro fai?”
Io faccio il pittore.”.
Non so voi, ma ormai, di questi tempi, nonostante si viva in un Paese ricchissimo di arte come l’Italia, che trabocca di cultura tanto quanto una coppa trabocca di vino a un baccanale banchetto, molti di coloro che ho intervistato non hanno mai indicato la loro arte come una professione, complici anche una serie di difficoltà logistiche ed economiche che si possono riscontrare quando si compie questa scelta di vita, quando si intraprende questo percorso.

Dovete sapere che i quadri di Gaspare mi hanno sempre colpita molto. Dacché sono approdata su quest’isola per la prima volta, in vacanza, non ho mai smesso di amare e ammirare le sue opere.
Sono sempre stata incantata e affascinata dai colori, dalle forme, dai soggetti, dall’energia che essi emanavano, quasi fossero “vivi”.
Favignana acquisisce un’altra prospettiva grazie ai suoi dipinti, che ritraggono paesaggi, scene di pesca, gabbiani, in una parola: la realtà che lo ispira continuamente.

Anche adesso, mentre prendo appunti, ascoltando Gaspare che mi parla, non posso fare a meno di rimanere ammaliata dalle sue tele, perché mi trovo nel suo atelier.
Ho sempre pensato che invitare qualcuno nel proprio atelier, nel proprio studio, nel proprio angolo privato dove l’anima prende forma in svariati modi (pittura, scultura, scrittura, musica e via dicendo), sia un atto veramente intimo.
Trovarmi qui mi fa sentire quasi privilegiata, perché è un po’ come dire: “Ecco, sbircia pure da dietro la tenda della mia vita, guarda attraverso lo spioncino della porta.”.

E che atelier, dico io! Una stanza completamente vetrata, costruita qua sull’isola dallo stesso Gaspare nel giardino di casa sua (naturalmente non dirò dove si trova la sua abitazione). Un angolo privato immerso nella Natura, dove il verde degli alberi funge da sfondo.
Gaspare mi chiede se ho voglia di un caffè, si unisce anche la moglie, accetto con garbo.
E mentre soffio delicatamente sulla bevanda per evitare di scottarmi, ecco che il pittore comincia a parlarmi del suo lavoro.

Mi racconta di come la sua passione sia nata grazie al padre, artista anche lui, per quanto lontano dal suo stile pittorico: “Fin da bambino ho visto mio padre disegnare e mi sono innamorato fin da subito di questa attività.”
Gaspare era l’unico che poteva fare compagnia al genitore mentre era intento a disegnare le piantine della città di Trapani, Favignana, la casa in cui vivevano, riproduzioni di carte antiche: perché quando si crea non bisogna avere nessuno attorno che possa giudicare il tuo operato, che possa in qualche modo farti capire che forse stai sbagliando qualcosa.

Gaspare non faceva niente di tutto ciò, semplicemente gli piaceva osservarlo mentre dipingeva. E, in qualche modo, ha ereditato questa voglia di solitudine, il rifiuto ad avere qualcuno accanto che potesse farlo preoccupare sull’utilizzo del colore o sulla scelta delle forme.
Per questo dipinge sempre da solo.

Dipinge su grandi tele grezze, che possono assorbire meglio il colore, sfruttando la pittura a olio.
I suoi quadri, che in questo momento mi stanno circondando mettendosi in mostra sulle pareti vetrate, devono rispettare, per Gaspare, delle prerogative ineccepibili, come mi spiega lui: “I miei quadri come devono essere? Moderni, devono essere intensi, originali.” E sono le esatte parole che utilizza per descrivere il proprio stile pittorico che ricorda molto i pittori impressionisti e post impressionisti di fine Ottocento e inizio Novecento.

Per chi non lo sapesse, l’Impressionismo è un movimento artistico nato in Francia nella seconda metà del XIX secolo, come dicevo poc’anzi, ed estesosi fino agli inizi del XX.
L’Impressionismo ha due parole d’ordine: colore e luce. In breve, questo movimento studiava i vari effetti che la luce poteva avere su diversi colori, i quali dovevano essere brillanti, vividi, forti, rivoluzionari, i giochi di luce e ombra dovevano sorprendere lo spettatore, fornendogli una visione straordinaria dello spettacolo della Natura.
E in effetti, nelle opere di Gaspare i colori sono proprio così come lui li ha descritti, come i pittori Impressionisti li realizzavano. Pittori come Paul Gauguin, da me tanto amato per i suoi lavori “primitivi” che rappresentavano la quotidianità Polinesiana (infatti, visse a Tahiti per un certo periodo di tempo), o come Vincent Van Gogh, amico di Gauguin e anche lui tanto ammirato dalla sottoscritta, proprio per quelle pennellate quasi violente, cariche, sature sulla tela.
Ed è proprio Gaspare a citarmi questi pittori, tra i suoi preferiti.

Effettivamente, per chi mastica di arte, si può notare una certa influenza impressionista nei dipinti di Gaspare: “Utilizzo tecniche e modi di pitturare che esaltino i miei princìpi di pittura. Quindi contorno le figure per farle esaltare, utilizzo una tela grezza che mi assorbe tanto colore, per l’intensità del colore. Da questo, poi, nasce il mio stile.”, mi spiega mentre sorseggiamo il caffè. Così come mi spiega che, in passato, dipingeva anche su tavola, cioè sul compensato marino.

E in questo tripudio di tonalità cariche e vive, contorni marcati per mettere in risalto le forme, le linee e le rette che formano tante figure geometriche che ricordano quadrati, rettangoli e parallelepipedi, si possono ammirare tutta una serie di episodi della quotidianità favignanese.

“Quando io ho iniziato a dipingere ho avuto le mie regole, poi, a un certo punto, mi sono reso conto, quando mio padre se n’è andato, che tutto il bagaglio che lui aveva acquisito, io non lo dovevo buttare a mare. E allora ho preso il bagaglio di mio padre come se fosse l’azienda di famiglia e l’ho continuata. Ed effettivamente mi sono ritrovato in una nuova dimensione.”.
Da quella decisione, per Gaspare è stata una continua evoluzione, non solo tecnica, ma anche legata all’esperienza.

Gaspare ha realizzato più di un dipinto inerente alla celebre mattanza dei tonni, in anni diversi, con occhio diverso, con un’esperienza emotiva diversa. E tutto ciò, nelle sue fantastiche tele, è percepibile quanto una luce all’interno di un tunnel buio. Gaspare mi mostra le copie digitali, più piccole e stampate di queste sue mattanze (un dipinto del 2018 e uno del 2023), mentre in sottofondo ci accompagna una voce femminile delicata e melodiosa, provenire dallo stereo.

“Dipingere è una ricerca che tu fai costantemente.”, mi dice Gaspare mentre sistema le stampe già incorniciate in una tra le scatole di cartone accuratamente disposte sul bancone: “Il piacere è o migliorarti o fare il quadro migliore di quello che hai fatto. Per me dipingere è progetto artistico, per me è fare un progetto aiutato dalle intuizioni.”
Ergo, lui può dipingere anche lo stesso soggetto, ma da punti di vista sempre diversi.
“E succedono cose che tu vivi che ti fanno fare i quadri.”, questa è la frase che pronuncia e che, a parer mio, riassume appieno l’essenza delle sue opere.

Come il varo di un peschereccio, protagonista di uno dei suoi lavori: “A Trapani, negli anni ‘50 e ‘60, si costruivano le barche di legno. E c’erano i mastri d’ascia, gente che costruiva barche di venti metri basandosi sull’esperienza, senza avere studiato. Saperi tramandati di padre in figlio. E il varo era la festa della messa in acqua del peschereccio, per così dire. E questa scena l’ho vissuta da bambino.”
Dalla realizzazione di questo quadro, poi, Gaspare ne ha realizzato un altro, facendosi ispirare dalla vista di un peschereccio inseguito dai gabbiani in mezzo al mare.
E da quel dipinto, ancora, Gaspare fece studi più approfonditi sui gabbiani, dando origine ad altri quadri che ritraevano proprio questi uccelli del mare.
“Quando fai il pittore, vivi il momento, vivi il quadro, vivi ciò che viene dopo…”

Prima di realizzarne uno, soprattutto quando Gaspare inizia  a immaginarlo nella sua testa, parte con un progetto, ben convinto e sicuro di ciò che andrà a produrre. Questa convinzione, nel mentre, può anche venire un po’ meno, ma quando il quadro è pronto, secondo Gaspare, è esso stesso a comunicarlo.

Gaspare si lascia sempre trasportare, non sa mai cosa realizzerà esattamente: durante l’inverno dipinge e ridipinge, si dedica per mesi al dipingere e poi, d’estate, espone le sue tele in una piccola via (via Enrico Albanese) vicina al molo turistico, una viettina situata di fronte a Piazza Europa, dove c’è la Chiesetta di Sant’Antonio.
Qui, è possibile non solo ammirare la sua esposizione durante i tre mesi estivi, ogni anno, ma anche acquistare le sue opere, sia che si tratti delle originali di grandi dimensioni, sia che si tratti delle loro stampe digitali, realizzate al computer tramite un programma di grafica vettoriale.

Mentre concludevo la mia intervista, vi confesso che raramente ho sentito una definizione così poetica e bella che esaltasse l’arte, quando, alla mia domanda: “Per te che cos’è l’arte?”, il Maestro ha risposto:
“Sicuramente l’arte non vuole cambiare il mondo, però curarsi del bello, vedere il bello… puoi vederlo solo se ce l’hai dentro, questo bello.”, citando il grande pittore austriaco Gustav Klimt, come sottolinea Gaspare. E ha anche aggiunto una bellissima frase: “L’arte è il mangiare dell’anima.”

Scritto da Camilla Marino