Privacy Policy

“Diamonds are a girl’s best friend” – Marilyn Monroe in “Gentlemen prefer blondes” – Alla faccia del colonialismo inglese… storie e leggende dei gioielli della corona

Al di là di tutto quello che soggettivamente ognuno di noi possa pensare della monarchia o di Carlo III e delle discutibili vicissitudini di questa famiglia reale, l’incoronazione di un Re è qualcosa che nel 2023, nel secolo della corsa verso Marte, ci trasporta in un modo surreale, in un’altra epoca. La solennità dell’avvenimento “stride” con il cammino veloce del mondo rivolto ad altro, che in qualche maniera, forse, paradossalmente, ne diminuisce l’importanza: il 6 maggio 2023, Carlo III, figlio maggiore della regina Elisabetta II e del marito Filippo di Edimburgo, appartenente al casato Windsor, a 74 anni, è diventato formalmente, maestosamente e sfarzosamente, poggiando la mano sulla Bibbia e di fronte all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, nell’Abbazia di Westminster, il Re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri quattordici reami del Commonwealth.

Re Carlo III e la corona

Sì, perché delle 43 monarchie esistenti al mondo, 15 reami fanno a capo, ancora, al Re del Regno Unito. 

In America: Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Canada, Giamaica, Grenada, Saint Kitts e Nevins, Saint Vincent e Grenadine, Saint Lucia. 

In Oceania: Australia, Isole Salomone, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Tuvalu (arcipelago a metà tra le isole Hawaii e l’Australia, là in mezzo al mar…).

Alla faccia del colonialismo…

Una mappa che indica i reami appartenenti al Commonwealth

Sono qui per servire non per essere servito (“I am here to serve, not to be served”), è la formula rituale con cui è incominciata la cerimonia dell’incoronazione, invocando l’esempio “del Re dei Re”, Gesù Cristo. L’incoronazione è un rituale molto antico: le prime descrizioni risalgono a prima del 1000 a.C., ed è caratterizzata da una serie, appunto, di riti, consuetudini e protocolli.

Una corona che non è stata più indossata per 70 anni, dopo la salita al trono di Elisabetta II avvenuta il 2 giugno 1953.

Re Carlo III ha scelto di indossare quella in oro massiccio di Sant’Edoardo: 2 chili, realizzata nel 1661, viene utilizzata solo nel momento dell’incoronazione e poi sostituita con la corona imperiale.

Corona di Sant'Edoardo

È tempestata con 2.868 diamanti, 17 zaffiri, 11 smeraldi e 269 perle (una corona di umile fattura, insomma…). Tra le pietre più famose incastonate, lo Zaffiro di Sant’Edoardo e il Rubino del Principe Nero. Questo rubino, in realtà, non è un rubino… è uno spinello rosso (no, non quello per farsi le canne), ovvero un minerale che assomiglia, per limpidezza e trasparenza al rubino. È una gemma di circa 170 carati (34 g), lunga 5 cm.

Si dice che le quattro perle appese alla sommità dell’arco siano state indossate come orecchini od ornamenti per i capelli da Elisabetta I. 

Questo “falso rubino” ha una storia antica che inizia nel XII secolo, nel regno di Granada (ultimo Regno musulmano in Spagna caduto nel 1492 durante la Reconquista), tra le mani del sultano Muhammad VI che, però, non lo tenne a lungo: nel 1362, il re castigliano Pietro I invitò Muhammad VI a Tablada (Siviglia) per concludere un accordo poi finito male, perché il sovrano spagnolo fece assassinare il suo ospite e, frugando nelle sue tasche, trovò lo spinello/rubino rosso. 

Intanto chiariamo che “Principe nero” era il nickname di Edoardo di Woodstock, Principe del Galles, che ricevette in dono questa gemma dal re castigliano Pietro I nella Battaglia di Nàjera, per l’aiuto alla vittoria nella riconquista di buona parte dei suoi domini. E qui incomincia il viaggio nel tempo di questa pietra preziosa, premettendo che solo sotto il regno di Enrico V, nel 1415, il “rubino” verrà inventariato tra i gioielli della corona.

Il Rubino del Principe Nero

Il percorso del gioiello continua con la campagna di Francia nella Guerra dei cent’anni incastonato sull’elmetto di Enrico V, in seguito lo ritroviamo sull’elmo di guerra di Riccardo III nella battaglia di Bosworth Field, successivamente compare sulla Corona Imperiale di Stato di Giacomo I nel XVII secolo, dove vi rimase fino ai tempi di Oliver Cromwell. Ma la storia va avanti: Cromwell, infatti, fece smontare tutte le pietre presenti sulla corona per venderle a un gioielliere britannico, per essere poi acquistate da Carlo II Stuart nel 1660. E qui, finalmente, il rubino trovò pace diventando parte integrante e centrale della Corona Imperiale di Stato sotto il regno della Regina Vittoria, la quale fece rimodellare il design della corona incastonandolo tra quasi tremila leggendarie gemme preziose (il peso complessivo delle quasi tremila pietre sulla corona è di circa tre libbre, corrispondenti a 1360,78 grammi).

Nell’arco dei secoli si iniziò a vociferare che le “vicissitudini” e le travagliate “avventure” di questo rubino, lo avessero caricato di energie negative diventando portatore di maledizione, ma osservando il lungo Regno avuto dalla nostra Elisabetta II, questa nomea è stata forse riscattata, o no?

Lo Zaffiro di Sant’Edoardo, invece, prende il nome dal re anglosassone Edoardo il Confessore, che lo incastonò nel suo anello intorno al 1042, in occasione della sua incoronazione,  e anche questa pietra preziosa non è esente da storie e leggende. Si narra infatti, che il sovrano era noto sia per la sua carità verso la povera gente che per il rispetto profondo verso San Giovanni Evangelista. Un giorno, sulla via dell’Abbazia di  Westminster, Edoardo incontrò un mendicante e non avendo al momento nella propria borsa del denaro da donare, si sfilò il prezioso anello dal dito e lo regalò all’uomo bisognoso. 

Molti anni dopo, Edoardo ricevette la visita di due pellegrini provenienti dalla Terra Santa che asserirono di aver avuto un’apparizione dove San Giovanni Evangelista diceva loro che era lui il mendicante trovato da Edoardo lungo la strada e perciò il santo aveva dato ordine di restituire l’anello al re, perché aveva superato la prova di bontà e che lo avrebbe poi rincontrato in paradiso sei mesi dopo: esattamente sei mesi dopo questo dialogo coi due pellegrini, Edoardo morì.

Storia meravigliosa e commovente, ma non posso fare a meno di pensare che questi due pellegrini gliel’abbiano tirata…

 

Ma quanto valgono i gioielli della Corona inglese? Secondo le valutazioni degli esperti il valore complessivo della collezione oscillerebbe tra 1,2 e 5,8 miliardi di dollari. Altri stimano questo range al rialzo, fino ai 10 miliardi. (Borsa e Finanza)

Tra l’altro, parlando di danaro, piccola e ulteriore curiosità, la famiglia reale inglese non è neanche la più ricca del mondo, anzi, secondo Radio Montecarlo non figurerebbe neanche tra le prime dieci.

Sulla corona è posto anche il diamante Cullinan, detto anche Stella d’Africa, con un peso di 3106,75 carati (621,35 g), è il più grande diamante grezzo mai ritrovato (26 gennaio 1905), chiamato così in onore del proprietario della miniera, Sir Thomas Cullinan (imprenditore e politico sudafricano). Dopo un avventuroso trasporto con numerose misure di sicurezza per via della fama, fu donato al re d’Inghilterra, come gesto di distensione politica, venne poi tagliato dai fratelli olandesi Asscher.

Da quel primo taglio ne vennero altri e dalla pietra originale nacquero altri 9 diamanti principali, che mantennero tutti il nome di Cullinan (i due maggiori, I e II) e ben 96 gemme minori.

I Cullinan I e Cullinan II furono incastonati negli oggetti di maggiore prestigio dei gioielli della Corona Inglese, mentre i diamanti Cullinan III e Cullinan IV furono montati su un pendente della regina Elisabetta, il Cullinan VI fu, invece, comperato da Eduardo VII, figlio della regina Vittoria, per regalarlo alla moglie Alessandra di Danimarca. Gli altri rimasero ad Amsterdam come pagamento agli Asscher per il loro lavoro. Tutti i diamanti sono oggi in mostra alla Torre di Londra.

L’Olio sacro usato per ungere il nuovo re sul petto e sulla testa, arriva da Gerusalemme, dall’orto del Getsemani ed è stato ricavato usando olive raccolte da due oliveti situati sul Monte degli Ulivi, presso il monastero di Maria Maddalena e il monastero dell’Ascensione. L’ampolla che lo contiene (una fiaschetta d’oro alta 20 cm), è stata realizzata nel 1661 dall’orafo reale ed è a forma di aquila con un’apertura nel ‘becco’ da cui esce l’olio da versare nel cucchiaio dell’incoronazione (Coronation Spoon), datato XII secolo. La leggenda narra che la Vergine Maria apparve a San Tommaso Becket e gli presentò un’aquila reale e una fiala di olio per ungere i futuri re d’Inghilterra.

È una ricetta segreta a base di ambra grigia, fiori d’arancio, rose, gelsomino e cannella. 

L’unzione avviene sulla storica sedia di legno di quercia: la Coronation Chair, nota anche come St. Edward’s Chair o King Edward’s Chair, nel quale è incastonata la cosiddetta “pietra di Scone”, conosciuta anche come pietra dell’Incoronazione o pietra del Destino.

È una pietra a forma di grossolano parallelepipedo in arenaria rossa, con la quale furono incoronati i sovrani scozzesi. La pietra si spezzò in due durante un furto il giorno di Natale del 1950, quando 4 studenti la rubarono con l’intenzione di restituirla alla Scozia: venne riposizionata sull’altare dell’abbazia di Arbroath l’11 aprile 1951 e gli autori del crimine furono incriminati, ma mai processati (esiste un film del 2008, intitolato “Stone of Destiny”).

La Pietra del Destino

Ritornando al trono, sappiamo che è alto due metri, che risale al 1300, è in arte gotica, venne scolpito dall’ebanista Walter di Durham ed è decorato con foglie d’oro e graffiti. L’11 giugno 1914 il trono fu oggetto di un attacco esplosivo organizzato dalle suffragette: un angolo di esso fu distrutto dall’esplosione, in seguito restaurato.

Dopo che Carlo III ha ricevuto sul capo la corona, è riecheggiato nell’Abbazia l’urlo “Dio Salvi il Re”.

 

Il Re è protetto da un paravento realizzato per l’occasione, il momento dell’unzione non viene mostrato. Il telo, opera di Aidan Hart, reca i nomi dei 56 Paesi del Commonwealth ed è sorretto da pali ricavati da un’antica quercia piantata nella tenuta di Windsor nel 1765. 

Dopo l’unzione, il re indossa una tunica bianca, la Colobium Sindonis, simbolo della volontà di spogliarsi di fronte a Dio, successivamente la Supertunica dorata, chiusa dalla Sword Belt, quindi l’antico mantello Imperiale, decorato con ricami floreali e simbolici di oltre due chili e, infine, il simbolo dell’onore del sovrano e del suo popolo: il guanto appartenuto al nonno

Tutte le vesti sottolineano la natura religiosa del rito. Sulle spalle, il tradizionale Robe of State di ermellino (forse sostituito con una fake fur), realizzato per Giorgio VI nel 1937, con un lungo strascico color cremisi tenuto da due paggi, tra i quali il principino George, per evitare che, con il suo peso e la lunghezza, possa intralciare la camminata del sovrano. Vi sono raffigurati insetti, tra cui le api, i fiori simbolo del Regno Unito, l’Alchemilla, che rappresenta l’amore e il conforto, i fiordalisi per la tenerezza, il mirto per la speranza, il capelvenere la purezza.

La Robe of State (mantello) di Camilla, invece, è stato disegnato e ricamato a mano dalla Royal School of Needlework e realizzato dalla sartoria Ede & Ravenscroft, la più antica di Londra, fondata nel 1689. 

E poi ci sono gli oggetti regali consegnati al monarca al momento della cerimonia.

Le tre spade, realizzate per l’incoronazione di Carlo I nel 1626, rappresentano ognuna una virtu’ regale: la spada della Giustizia spirituale, quella della Giustizia Temporale e quella della Misericordia (nota anche come Curtana), simbolicamente smussata in punta. 

C’è anche il globo del sovrano che è una sfera dorata, posta nella mano destra del re prima di essere messa sull’altare. Con un diametro di 16.5 cm, una banda di perle e di gemme al centro e una croce sulla sommità, rappresenta il mondo cristiano, dove il ruolo del monarca è quello di difensore della fede come supremo governatore della Chiesa d’Inghilterra.

 

Gli scettri invece sono due: lo Scettro del Sovrano con la Croce, associato al buon governo, incastonato con il Cullinan I, e lo Scettro del Sovrano con la Colomba d’oro, con diamanti, smeraldi, rubini, zaffiri, sormontata da una ulteriore colomba smaltata, che rappresenta la spiritualità, l’equità e la misericordia. 

 

L’anello del sovrano viene posto sul quarto dito ed è il simbolo della ‘dignità reale’ e del ‘matrimonio’ tra il monarca e il popolo.

Tra la “regalia” dell’incoronazione figurano anche gli Speroni e i bracciali (‘armillis), che l’arcivescovo fissa ai polsi del sovrano. I primi rappresentano il coraggio e la volontà di difendere chi ha bisogno, i secondi, realizzati in oro e smalto con una sontuosa fodera di velluto, decorati con i simboli nazionali tra cui la rosa, il cardo, il fleur de lis, rappresentano “la sincerità e la saggezza”.

Carlo e Camilla hanno scelto due carrozze: la Diamond Jubilee State Coach per l’andata verso l’Abbazia e la Gold State Coach trainata da otto cavalli, per il ritorno. La Gold State Coach ha 260 anni di storia, è la terza carrozza più antica in uso nel Regno Unito, è lunga sette metri, alta 3,6 ed è tutta d’oro. 

La Gold State Coach
La Diamond Jubilee State Coach

La Regina Camilla è stata unta, incoronata e intronizzata con una cerimonia più semplice, senza prestare giuramento: sul capo la Queen Mary’s Crown (corona) rivista e corretta, con il diamante Koh-i-noor (“montagna di luce”), di 105 carati, rimosso precedentemente. 

Il diamante è al centro di una controversia politica e legale con l’India, dove venne trovata la gemma nel XIV secolo, scoperto nelle miniere indiane di Golconda.

Fu un dono alla Regina Vittoria nel 1849 da parte della Compagnia delle Indie, ma viene considerato oggi alla stregua di “un furto coloniale”. 

Pare sia una pietra sfortunata perché diverse persone sono morte per il suo possesso. Anche Pakistan e Afghanistan ne rivendicano la proprietà, avendo fatto parte del tesoro dei Principi moghul, guerrieri iraniani, governanti afghani e maharaja del Punjab, prima di essere regalato al Regno Unito.

Certo che alla royal family piacciono proprio le pietre “maledette”…

E dopo tutta questa carrellata luccicante e ammaliante di gioielli preziosissimi, mostrati al mondo come un pavone che fa la ruota per comunicare grandiosità e bellezza, il pensiero va a una frase di Lià di Léo, attrice in un vecchio film, “I gioielli di Madame de…”, diretto da Max Ophüls del 1953: “Una donna può rifiutare un gioiello fin quando non l’ha visto. Dopo, diviene un eroismo…”

Il diamante Koh-i-noor

Tornando alla nostra cerimonia, il Re alla fine si è girato verso i quattro lati (i quattro punti cardinali) dell’abbazia per essere proclamato “Re indiscusso”. 

 

Un saluto di 62 colpi è stato sparato dalla Torre di Londra, con un salve di sei cannoni all’Horse Guards Parade

Ventuno colpi sparati anche in altre 11 località nel Regno Unito, tra cui Edimburgo, Cardiff e Belfast, e su navi della Royal Navy schierate. 

 

Carlo III ha commissionato personalmente i brani per la cerimonia, tra cui un inno del compositore del musical “Cats”, Sir Andrew Lloyd Webber.

 

La Operation Golden Orb, l’organizzazione a cui è stato affidato tutto ‘sto ambaradan, ha stimato che il costo della cerimonia sia stato intorno ai 100 milioni di sterline. A pagare, come per tutti gli eventi di stato, sarà il governo britannico, mentre i matrimoni sono a carico della famiglia reale.

Il pranzo reale dell’incoronazione, domenica 7 maggio, ha previsto come piatto simbolo della loro Coronation, una quiche con spinaci, fave, formaggio e dragoncello fresco, avvolti in un involucro di croccante frolla, accompagnata da un’insalata e da un contorno di patate: chef reale, Mark Flanagan. Di seguito un carré di agnello arrosto, dello chef cinese Ken Hom, con marinata in stile asiatico; un piatto a base di melanzane (‘Coronation aubergine’), salsa allo yogurt, chutney e cipolle fritte, creato dall’ex vincitrice di ‘The Great British Bake Off’, Nadiya Hussain, e un dessert dello chef Adam Handling con fragole e zenzero.

 

Girovagando e curiosando nel web, ho trovato anche alcune preferenze ai pasti della royal family inglese. Queen Elizabeth prediligeva una dieta healthy: secondo il suo ex chef Darren McGrady, intervistato dal “Telegraph”, uno dei piatti preferiti di Elisabetta II, era la sogliola alla griglia con zucchine o spinaci; alle cinque, l’immancabile tè senza zucchero, accompagnato dagli scones (morbidi paninetti rotondi, dal sapore neutro, che vengono farciti o con ingredienti dolci o con ingredienti salati), oppure tramezzini salati al salmone. Per quanto riguarda il principe William, ho letto che è golosissimo del leggendario arrosto preparato dalla moglie, la duchessa di Cambridge Kate Middleton, apprezzato anche da tutti gli altri membri della royal family. Il piatto preferito di Re Carlo III, invece, secondo la rivista “Elle”, sono le Cheesy backed eggs, di cui vi scrivo anche gli ingredienti, quindi prendete appunti: 100 g di spinaci appassiti, 1 uovo, 35 g di formaggio a pasta molle forte, 1 pomodoro, 15 g di formaggio a pasta dura grattugiato, 80 ml di doppia panna, salumi. 

Mi viene in mente Mark Twain che affermava: “L’unico modo per mantenersi in buona salute è mangiare quello che non vuoi, bere ciò che non ti piace e fare ciò che non vorresti.”

Praticamente, mainagioia.

Buckingham Palace

Viene a questo punto spontaneo domandarsi: la monarchia ha ancora un senso?

Può essere la monarchia, così conservatrice, aristocratica e convenzionale, una contraddizione all’evoluzione e al progresso verso l’uguaglianza tra le persone? 

Eppure, attualmente, il numero di regnanti nel mondo è sorprendente: in un paese su quattro vige la monarchia, direi una situazione tutt’altro che irrilevante dal punto di vista storico, politico, economico e sociale. Tra l’altro, impedendo in alcuni casi l‘emergere di forme estreme di governo nei loro Paesi, e a parte certe monarchie assolute, le nuove discendenze delle famiglie reali sono spesso grandi benefattrici, apparentemente in lotta contro le discriminazioni e il cambiamento climatico.

Camilla, la regina consorte, si è assunta la responsabilità di impegni pubblici per conto dei 90 enti di beneficenza, concentrati sulla salute e sul benessere, lavorando anche con persone che sono state violentate o aggredite.

Nel frattempo vi do una rispolverata di quelli che sono, sommariamente, i poteri del sovrano, ricordando che il Regno Unito è una monarchia costituzionale, nel senso che un re regna, con limiti al suo potere, accanto a un’altra istituzione, il Parlamento

Nel caso di Re Carlo III d’Inghilterra, che conserva tuttora il titolo, anch’esso formale, di governatore supremo della Chiesa anglicana, ha tre diritti essenziali: il diritto a essere consultato, il diritto di consigliare e il diritto di mettere in guardia. Detiene inoltre tutti e tre i poteri di uno Stato democratico, cioè il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario. È tradizionalmente tenuto a rispettare le decisioni del primo ministro e del Parlamento. Ha anche il diritto di approvare o respingere i progetti di legge. 

 

Arrivati a questo punto è proprio il caso di dire… “God save The King!”, il più antico inno nazionale del mondo, scritto tra il 1736 e il 1740 dal compositore inglese Henry Carey.

Scritto da Camilla Marino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *