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La letteratura scandinava – I libri consigliati da FunkyCami

Sulla parete della mia camera c’è scritta una frase ben precisa, una citazione del buon vecchio Sant’Agostino, filosofo vissuto tra il 354 e il 430 d.C.: “Il mondo è un libro e chi non viaggia legge solo una pagina.”.

Ma visto che siamo nella sezione libri e non in quella dei viaggi, io metterei una mia citazione che recita in quest’altro modo: “Un libro è un mondo e chi non legge non viaggia affatto.”

E quindi, eccomi pronta a farvi viaggiare anche con la mente, con la fantasia e con lo spirito, perché leggere un libro è come vivere un’altra vita e potrete capire che cosa si prova solo se immergerete i vostri nasi tra le pagine dei tanti romanzi, dei testi e delle opere scritti nel tempo.

Ah, ovviamente, in questa mia rubrica non sono ammessi spoiler.

 

Voglio inaugurare questo spazio dedicato ai miei consigli di lettura con un genere letterario che mi piace particolarmente, ogni volta che vedo un libro di questo tipo vengo attratta subito e lo acquisto immediatamente (anche se, in realtà, faccio così per ogni opera cartacea che si presenti davanti ai miei occhi…): sto parlando della letteratura scandinava.

Con i romanzi provenienti dalle affascinanti e lontane terre del nord, parte subito la citazione de “Il Trono di Spade”: “L’inverno sta arrivando.”. Effettivamente, quando si leggono libri di questo tipo, si ha subito la concreta sensazione di esporsi al freddo e al gelo di questi luoghi più o meno estremi.

Ma prima di consigliarvi alcuni romanzi che ho letto provenienti dalle terre degli Estranei (“Game of Thrones” docet), c’è bisogno di una spiegazione più dettagliata sulla natura di questo filone narrativo.

Parto subito con il precisare che la letteratura scandinava comprende tutti quei romanzi nati e cresciuti (per modo di dire) in Scandinavia. Sì, può sembrare che stia facendo il cosplay virtuale di Capitan Ovvio, ma in realtà, questa distinzione serve, poiché la Scandinavia comprende la Norvegia, la Svezia, la Danimarca, la Finlandia, l’Islanda, le Isole Faroe e, a volte, anche l’Estonia. Nonostante la vicinanza geografica della Russia e il lungo periodo di occupazione russo, l’Estonia ha avuto in passato rapporti molto stretti con Danimarca e Svezia. Tallinn, infatti, ha avuto un periodo di dominazione danese tra il 1219 e il 1346 e deriva da Castrum Danorum (castello danese), che tradotto in estone è appunto Tallinn.

A loro volta, ognuno di questi Paesi possiede un proprio bagaglio letterario ben dettagliato e specifico. Tuttavia, le due forse, più conosciute, sono la letteratura norvegese e la letteratura svedese. Con questi due termini si designano, manco a dirlo, tutte quelle opere composte rispettivamente in Norvegia e in Svezia o scritte nelle suddette lingue.

Sembra che le prime tracce della letteratura norvegese risalgano ai poemi pagani dell’Edda poetica (ovvero una serie di poemi redatti in lingua norrena e provenienti dal Codex Regius, un manoscritto medievale islandese), nonché al IX e X secolo con la poesia scaldica (lo scaldo era un poeta particolarmente erudito e sapiente in fatto di mitologia norrena, che componeva i suoi testi secondo uno schema abbastanza complesso presso le corti scandinave nell’Era vichinga).

Per quanto riguarda la letteratura svedese, invece, il primissimo testo prodotto fu il Rökstenen (ovvero la più importante pietra runica della storia del Paese), inciso nell’800, sempre durante l’Era vichinga.

Si può dire, dunque, che entrambe le letterature siano coetanee.

Tornando ai giorni nostri, qualcuno di voi sa quale genere sia una sorta di marchio di fabbrica della letteratura scandinava?

Ovviamente si tratta del noir scandinavo (o letteratura poliziesca scandinava o noir nordico). Ormai, questo tipo di libri va molto di moda e gli autori scandinavi stanno facendo il giro del mondo proprio grazie a uno stile estremamente particolare che li distingue da qualsiasi altra opera di stampo poliziesco. Uno stile per cui io impazzisco, perché mi piace molto: l’oscurità la fa da padrona.

E non parlo dell’oscurità dettata dalla mancanza del Sole nei mesi invernali. Questa è un’oscurità dell’animo, legata all’essere umano, perché ogni persona è capace di trarre in inganno e si porta sempre dietro qualche scheletro nell’armadio o un cupo segreto.

I protagonisti stessi, spesso i poliziotti incaricati di risolvere un caso di omicidio, ovviamente, portano sulle spalle il peso di un trauma pregresso. Nella letteratura scandinava i legami, le relazioni e la moralità presi in esame, sono estremamente complessi data la presenza costante di tematiche sociali ed economiche tipiche della Scandinavia (come l’uguaglianza, il liberalismo, la violenza contro le donne e la giustizia sociale).

Inoltre, tutti questi scritti sono essenzialmente realistici, senza troppi fronzoli di metafore o figure retoriche: la realtà si presenta ai nostri occhi nuda e cruda, così come accade ogni giorno nella vita.

E questa crudezza nello spiattellare in faccia realtà decisamente scomode non fa altro che evidenziare la natura macabra, oscura e sporca che si cela dietro la storia di turno.

Ma attenzione, letteratura scandinava e letteratura norrena non sono sinonimi. Con il secondo termine si intendono infatti tutte quelle opere letterarie scritte in lingua antica, soprattutto islandese e norvegese.

E parto con il consigliarvi proprio un romanzo che racchiude benissimo tutte queste caratteristiche, appartenente naturalmente, al genere noir.

No, non sto parlando di Jo Nesbø, perché sarebbe stato davvero scontato partire subito con il re del giallo nordico (anche se in futuro, ovviamente, ve ne parlerò più in dettaglio consigliandovi mano a mano tutti i suoi libri in altri articoli).

Vi sto proponendo “Gli adepti” di Ingar Johnsrud, pubblicato nel 2015 e di provenienza norvegese, arrivato in Italia nel 2016 tramite la Giunti Einaudi Editore.

Nella città di Oslo, l’ispettore Fredrik Beier, affiancato dalla giovane e affascinante agente musulmana Kafa Iqbal, si deve occupare di un caso di scomparsa decisamente delicato: la ragazza sparita, infatti, è la figlia di un personaggio politico di spicco. Inoltre, la ragazza fa parte di una setta chiamata “Luce di Dio”. La situazione diventa ulteriormente complicata quando si scopre che nella sede di questa setta è avvenuto un massacro e che nei suoi sotterranei si cela un laboratorio chimico di cui non si conosce lo scopo.

In questo romanzo si concentra tutto: questioni politiche, sociali e religiose, con una buona dose di suspense. La storia acquista sempre più velocità mano a mano che si scorrono le pagine, passando da una parte iniziale piuttosto lenta e solo apparentemente confusa per poi progredire verso un ritmo incalzante e che invoglia a scoprire il mistero che si cela dietro la setta e il laboratorio che essa sfrutta.

L’impressione può essere quella di troppa carne al fuoco, un gran numero di temi scottanti, tipici della letteratura norvegese, come ho già detto sopra. Di conseguenza, in principio, può risultare forse azzardato un insieme così ricco, per i profani del genere può anche sembrare troppo stereotipato. In realtà, non vi è alcun stereotipo ingiustificato e ogni tassello si colloca perfettamente al proprio posto.

Non bisogna rimanere delusi dal finale aperto (che naturalmente non descriverò nel dettaglio), poiché “Gli adepti” è il primo di una trilogia che si incentra unicamente su questo caso.

Lettura decisamente adatta per chi si sta approcciando per la prima volta a questo ramo letterario, anche perché secondo una buona parte di pubblico (me compresa) tra Ingar Johnsrud e il più famoso Jo Nesbø ci sono diverse similitudini nello stile, a partire già dal protagonista e dal tormento che si porta dietro.

Non sto parlando di Nesbø in questo articolo, ma non potevo non portarvi lei, la regina del poliziesco svedese, autrice conosciuta in tutto il mondo, nonché il mio primo amore in fatto di noir scandinavo: Camilla Läckberg.

Tuttavia, voglio variare tra i sottogeneri della letteratura scandinava, quindi non vi proporrò (almeno per il momento) uno dei suoi numerosi libri polizieschi.

Vi propongo, invece, “La gabbia dorata”, pubblicato nel 2019 in Svezia e nel 2020 in Italia tramite la Marsilio Editore.

Faye è una donna che, almeno all’apparenza, ha tutto ciò che si potrebbe desiderare: una bella casa, una vita ricca e agiata, una splendida figlia e un marito affascinante. Ma in realtà, si tratta di una gabbia dorata che la opprime, che la rende sottomessa ai voleri del suo compagno, nonostante sia sempre stata una donna forte e determinata. Inoltre, i ricordi legati al suo oscuro passato non migliorano la situazione. Quando scopre che il marito la tradisce con una donna più giovane e più “fresca”, il suo mondo va in pezzi. Ma, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, Faye decide di vendicarsi in un modo estremamente raffinato e crudele al tempo stesso. Perché la vendetta è un piatto che va servito freddo.

Avrete capito che qua si parla di una tematica sempre attuale: il potere delle donne. Effettivamente, la Läckberg ha molto a cuore la lotta contro la disparità dei sessi e agisce nel concreto per contrastare questa nota dolente della società odierna. Il suo attaccamento alla rivalsa femminile è evidente in questo romanzo, primo di una serie che ha come protagonista la già citata Faye.

Lo svolgimento della trama è decisamente lineare e scorrevole, una pagina tira l’altra. Si tratta di una storia molto carica dal punto di vista sessuale, davvero molto esplicita, per molti versi “sporca”, come è giusto che sia.

Il messaggio indirizzato alle donne è chiaro e preciso, non viene nascosto da mezzi termini o peli sulla lingua: che tutte le donne sottomesse dal potere maschile insorgano con forza, che si ribellino alla misoginia, che lottino con le unghie e con i denti per farsi valere. Perché come viene detto nel libro: “L’esperienza di restare in secondo piano, di essere giudicate in base al proprio aspetto fisico, l’aspirazione ad adeguarsi alle aspettative e a compiacere… era questo ad accomunare le donne di ogni età, paese ed epoca.”

Nonostante ciò, si tratta di una lettura molto leggera, adatta a chi vuole un noir di questa autrice diverso da quelli per cui è conosciuta, soprattutto se si predilige questo tema.

E infine, sempre sulla scia di contenuti di un certo livello, passiamo alla Finlandia con Arto Paasilinna e il suo “Piccoli suicidi tra amici”, pubblicato nel 1999 e approdato in Italia solo nel 2006 tramite la casa editrice Iperborea.

Per quanto il titolo di questo romanzo possa evocare una tematica pesante tanto quanto una coltellata nel pancreas, in realtà si tratta di una lettura estremamente piacevole.

Onni Rellonen è un imprenditore fallito sia nel lavoro che nella vita matrimoniale e decide, quindi, di compiere l’insano gesto: suicidarsi. Sceglie come luogo un vecchio fienile abbandonato, ma destino vuole che all’interno di quel fienile incontri il colonello Hermanni Kemppainen e, guarda che caso, anche lui vuole togliersi la vita. Nasce così un’amicizia solidale tra i due e insieme decidono di dare vita a un gruppo di sostegno per tutti i finlandesi che, come loro, si sono stancati di vivere. Grazie anche all’aiuto di un’altra aspirante suicida, Helena Puusaari, nasce così la Libera Associazione dei Morituri Anonimi, composta da altre decine di persone che vorrebbero farla finita.

Ma dall’idea del gruppo di sostegno, parte anche quella di andare tutti quanti insieme al Creatore, con un suicidio di massa ai limiti dello spettacolare. Così decidono di prendere un pullman e andare a cercare lo strapiombo più bello d’Europa.

Questa è la particolarità del prodotto della mente di Paasilinna: in una parola, ossimoro.

Per chi non lo sapesse, un ossimoro è una figura retorica formata dall’accostamento di due espressioni che vogliono dire due concetti diametralmente opposti, all’interno della stessa frase.

Beh… qui siamo all’interno dello stesso romanzo ed è praticamente un ossimoro unico: la morte equivale a una nascita.

Prima, un tentato suicidio fa sbocciare un’amicizia forte e genuina; successivamente, il volersi togliere la vita porta a un atto di solidarietà collettivo e un viaggio verso il baratro (in senso letterale e metaforico) si trasforma in un viaggio alla riscoperta della vita. E questo accade anche grazie alle banalità della vita stessa, avvenimenti tanto semplici eppure tanto significativi e spettacolari al tempo stesso.

Il tutto è intriso di uno spirito puramente tragicomico (a partire dal titolo, decisamente ironico), con esperienze al limite del rocambolesco e dell’assurdo ed è proprio questo il punto di forza del romanzo: la leggerezza con cui si affronta un tema così delicato da essere considerato quasi tabù, tanto da farci riflettere in merito quasi più a fondo e intensamente di qualsiasi trattato sociale. Probabilmente è stato realizzato in questo modo non solo per una scelta stilistica dell’autore, ma anche perché i Paesi nordici (come la Finlandia, appunto) vanno a pane e suicidi, visto l’alta percentuale di gente che decide di tirare l’ala durante l’inverno. Un po’ come accade in “Quo vado?” con Checco Zalone, quando affronta l’inverno svedese e, andando al lavoro, domanda a che piano abiti un suo collega, dato che se abitasse a un piano troppo alto, probabilmente si lancerebbe giù dal balcone e il meeting balzerebbe come un grillo.

Insomma, al di là di ogni pronostico, “Piccoli suicidi tra amici” è un vero e proprio inno alla vita, con uno stile leggero e delicato, super emozionante e a tratti commovente, che ti invoglia a scoprire come andrà a finire la storia.

Come viene scritto nel romanzo: “[…] ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto. Solo chi si è spinto fino alla soglia della morte comprende che cosa vuol dire in pratica l’inizio di una nuova vita.”

 

A differenza di come faccio con i film, con i consigli letterari mi fermo qui. Chi è amante del genere saprà sicuramente cosa leggere nei prossimi giorni.

 

Quindi… sedetevi comodi, estraniatevi dal mondo e immergetevi in un altro. Buona lettura!

Scritto da Camilla Marino