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Il cinema gotico – I consigli cinematografici di FunkyCami

Ammettiamolo a gran voce che è scoppiata la moda dello stile gotico e tutti noi ci siamo lasciati contagiare.

Vestiti, make up, acconciature, riesumazione di tutti i film di Tim Burton, challenge di un ballo ormai conosciuto da chiunque sui social.

Ma il gotico è uno stile artistico, che non coinvolge solo la cura dell’abbigliamento del trucco e del “parrucco”.

Il gotico è un vero e proprio sottogenere del cinema horror. E oggi sono qui proprio per parlarvi di questo genere, dato il successo planetario della nuova serie Netflix “Wednesday – Mercoledì”.

Ma prima di cominciare a proporvi film e serie facenti parte di questo filone (che sinceramente apprezzo molto), vi spiego esattamente che cos’è.

Come vi ho già detto, è una branca del genere horror e nacque nel 1920 con la pellicola “Il Golem”, film muto in bianco e nero di origine tedesca, per poi essere consacrato grazie al più noto “Nosferatu”, del 1922, anch’esso muto, in bianco e nero e proveniente dalla Germania e anche grazie alla casa di produzione Hammer.

La Hammer Film Productions, infatti, è ancora celebre nel panorama cinematografico per aver sfornato numerosissimi capolavori horror, partendo da una serie di film su “Dracula”, “La mummia” (no, non Imhotep, quello è un altro masterpiece) e “Frankenstein”. Diciamo che già da questi pilastri del mondo delle creature mostruose, si può dire che la Hammer sia specializzata proprio in cinema dell’orrore.

Le caratteristiche principali del genere gotico sono sostanzialmente due: le atmosfere e gli antagonisti (o protagonisti, se preferite vederli come tali).

Per quanto riguarda la prima peculiarità, esse derivano principalmente dalle descrizioni presenti nei romanzi gotici, dato che, come è facilmente intuibile, il genere cinematografico omonimo prende molto spunto da questi scritti, tanto da aver generato diverse trasposizioni cinematografiche di libri famosi come “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde”, di Robert Louis Stevenson, pubblicato nel 1886, oltre che dei vari Dracula e company che vi ho elencato sopra.

Ma queste descrizioni cosa includono? Si tratta di un’unione tra romanticismo e orrore… e chi conosce la storia di “Dracula” (di Bram Stoker) può capire benissimo di che tipo di unione parlo.

Visti gli esempi che ho menzionato, sarà saltato all’occhio il secondo segno distintivo dei film gotici: i nemici sono tutte creature mostruose o appartenenti al mondo dell’occulto. Lupi mannari, vampiri, fantasmi, non-morti, demoni, maghi, streghe, scienziati pazzi e addirittura cannibali o alieni, fanno parte di questo panorama.

Vi sento confusi: come si fa a distinguere un “normale” film horror sul paranormale da un film di stampo gotico?

Domanda più che lecita… ma alla quale perfino i critici cinematografici non sanno rispondere al 100%. Diciamo che per differenziarli, c’è quel “non so che” legato al tema trattato e all’ambientazione, come castelli spettrali, oscure prigioni, antichi monasteri e chi più ne ha più ne metta.

Di sicuro non fanno parte di questa categoria tutte quelle pellicole nipponiche sui fantasmi. Questo perché nel folklore giapponese si dà molta importanza al concetto di anima in quanto tale, non presuppone l’esistenza di una creatura maligna come nella cultura cristiana (ovvero il Diavolo). E vi ho appena spiegato che un film gotico DEVE avere al suo interno una figura maligna di qualche tipo, qualsiasi sia la forma che assuma.

Sempre facente parte del gruppo gotico, grazie al mio amato regista Guillermo del Toro, ha preso ormai piede l’horror spagnolo, che ha una particolarità in più rispetto a questi film: i bambini protagonisti sono in bilico tra due mondi, quello reale e quello paranormale. Quest’ultimo piano dimensionale serve come rappresentazione di una situazione emotiva o che sta comunque avvenendo nella realtà. Esso rappresenta una fuga per il bambino o la bambina protagonisti, ma allo stesso tempo deve essere ignoto e spaventoso.

E se ho menzionato Tim Burton all’inizio di questo articolo, c’è un motivo: è uno dei più grandi registi di cinema gotico, il più conosciuto e, sicuramente, tra i più riconoscibili proprio grazie al suo stile. Le ambientazioni dei suoi film assumono sempre la forma di fiabe nere e oscure, dove il normale e l’assurdo si mescolano alla perfezione, trattando sempre tematiche attuali come la solitudine, l’emarginazione e il legame che intercorre tra vita e morte.

Ovviamente, partendo proprio da lui, non posso non consigliare la serie Netflix “Mercoledì”, di cui Tim Burton è uno dei produttori esecutivi, nonché regista. Nei panni della ragazza più macabra della storia del cinema vediamo una bravissima Jenna Ortega, mentre nel ruolo dell’affascinante Morticia Addams c’è Catherine Zeta Jones. Mercoledì Addams (personaggio conosciuto pure dai sassi) è un’adolescente che si “diletta”, per così dire, a cercare di uccidere i bulli della sua scuola. Viene così portata dai genitori all’Accademia Nevermore, una scuola speciale per “ragazzi reietti” come lei. Tra vampiri, lupi mannari, sirene e gente con la testa non proprio a postissimo, si aggira un mostro, che uccide brutalmente chiunque gli capiti a tiro. Per quanto Mercoledì ami i fatti oscuri e macabri, prediliga la sofferenza e la tortura e gioisca delle disgrazie altrui, decide di voler fare chiarezza sulla faccenda, cercando di risolvere il mistero e scoprire chi sia davvero questo mostro.

Questa serie, in cui si uniscono sapientemente elementi di orrore, fantasy e commedia (e certe sequenze sono grottescamente spassose), è stata amata e criticata allo stesso tempo. Amata perché Mercoledì Addams è diventata una sorta di eroina per tutte noi, nonché una rappresentazione del mood che si ha il lunedì mattina appena svegli. Sui social sono comparsi migliaia di meme inerenti alle scene di questa serie, non ultimo il famoso balletto che tutti noi cerchiamo di imitare.

Si tratta di un serial decisamente teen, ricordando un po’ il concept di “Le terrificanti avventure di Sabrina” (altra serie che vi consiglio vivamente). Forse la Famiglia Addams non è così presente come ci si aspetta (e forse questo è un po’ un peccato, dato che gli Addams… sono gli Addams), ma dobbiamo ricordare che la storia è incentrata su Mercoledì. E credetemi quando vi dico che la sua presenza, insieme a quella di Mano, basta e avanza per farvi schioccare le dita al ritmo della famosissima sigla degli Addams.

Questa serie è stata dichiarata come un inno alla diversità. Ovviamente, un tema così delicato è stato trasposto in maniera decisamente accattivante per gli spettatori adolescenti, costantemente attanagliati dal timore di non essere inclusi “nel gruppo”, di essere, sostanzialmente, troppo “diversi” per poter essere accettati davvero dagli altri. Qui, la nostra cara e funerea Mercoledì incarna questa battaglia e la fierezza nel dimostrarsi per ciò che si è realmente, a prescindere da ciò che gli altri possano pensare. Ricordiamo che la Famiglia Addams stessa è un elogio al distinguersi dalla massa: nata dalla mente del disegnatore Charles Addams nel 1938 (sì, prima della trasposizione televisiva e cinematografica, gli Addams erano delle vignette), essa si proponeva, infatti, come una sorta di “critica” ai valori della classica famiglia borghese americana di quegli anni e si mostrava come una famiglia estremamente bizzarra e “anormale”, ma allo stesso tempo forse più unita e amorevole di tante famiglie “comuni”. E nella serie di “Mercoledì” ci sono un’infinità di personaggi che gridano “Io sono diverso e ne vado fiero”. Personalmente, tuttavia, non credo sia riuscita totalmente questa normalizzazione del diverso: effettivamente è stato creato un contesto ad hoc per questi individui con doti particolari, un ambiente in cui possono sentirsi accettati, poiché al di fuori di questa “bolla” costruita apposta per loro non lo sarebbero per niente. Sempre secondo il mio parere personale, questa serie ha involontariamente accentuato il sentimento di diversità, forse. Ma il tentativo è stato evidente, quindi ho apprezzato molto l’intenzione.

Eppure si è detto che la mano di Tim Burton non sia così visibile. A mio avviso, invece, di sicuro una Mano c’è… e vogliamo dare una lode all’attore che ha interpretato Mano nella serie? Cavolo, è stato capace di esprimere emotività con il solo movimento delle dita!

Dicevo, al contrario di quello ciò che possano pensare diversi critici, io ho percepito molto la firma di Tim Burton, non solo per il tema palesemente affrontato (quello dell’emarginazione sociale e della diversità, appunto), ma anche per il fatto che l’atmosfera mi ha ricordato molto un altro suo film che vi consiglio assolutamente: “Dark Shadows”, del 2012, con un cast composto da Johnny Depp, Helena Bonham Carter (loro due sono un po’ come il prezzemolo nei film di Tim Burton, si trovano ovunque), Eva Green e Michelle Pfeiffer.

In questa pellicola, durante il XVIII secolo, l’aristocratico Barnabas Collins (interpretato da Johnny Depp) si innamora di una giovane ragazza. Il sentimento è corrisposto e i due potrebbero vivere felici, se non fosse per lo zampino di una potente strega invaghita di Barnabas (Eva Green). Prima uccide la amata di Barnabas, costringendola tramite la magia a gettarsi da una rupe e poi trasforma lui in un vampiro, per farlo vivere in eterno con il dolore e il tormento. Lo fa successivamente seppellire vivo in una bara e la vita continua fino ai giorni nostri, quando Barnabas viene disseppellito per errore. Da lì, il degenero. Anche qui, come nella serie “Mercoledì”, la commedia, l’orrore e il fantasy si miscelano benissimo, come in un buon tiramisù.

E non scherzavo quando dicevo che Depp e Carter compaiono spesso e volentieri nei prodotti firmati Tim Burton. Infatti, a questo giro, vi propongo un musical in stile gotico: “Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street”, datato 2007, riadattamento odierno dell’omonimo musical del 1979, a sua volta basato sul dramma teatrale del ’73, a sua volta ispirato al romanzo recante lo stesso nome e pubblicato nel 1846, che al mercato mio padre comprò.

Vincitore della categoria miglior film e miglior attore ai Golden Globe del 2008 e della statuetta dedicata alla miglior scenografia durante l’80esima edizione degli Oscar, la storia si incentra su Benjamin Barker, desideroso di vendetta nei confronti di un giudice che lo ha condannato ingiustamente ai lavori forzati in Australia (siamo nel XIX secolo), poiché vuole mettere le mani sulla moglie di Barker. Una volta scontata la sua pena, Barker ritorna a Londra, cambia il suo nome in Sweeney Todd e scopre non solo che sua moglie si è suicidata in seguito allo stupro da parte del giudice, ma che sua figlia, mentre era ancora molto piccola, è stata rapita dallo stesso giudice, il quale è diventato suo tutore legale. Qui parte il piano per liberare la figlia e uccidere il giudice. Nel frattempo, per una serie di ragioni, Sweeeny Todd apre il suo negozio di barbiere sopra la pasticceria di Mrs. Lovett.

Non vi dico altro, ma provate a fare due più due con la dicitura “diabolico barbiere” abbinata a una pasticceria sotto al negozio… capito?

Insomma, noi immaginavamo il musical come la famiglia Von Trapp di “Tutti insieme appassionatamente” che canta nelle valli in fiore. Oppure pensavamo alle canzoni e ai balletti di quel capolavoro intramontabile di “Grease”. Qui ci sono canzoni tra uno sgozzamento e l’altro. Pura poesia. Il tutto in un panorama che più grigio di così c’è solo il pelo di una pantegana (in senso positivo, naturalmente, data l’aura macabra e grottesca che aleggia), dove l’unico colore che brilla è quello del sangue.

E sempre parlando del team Johnny Depp – Tim Burton, ecco uno dei miei horror gotici preferiti: “Il mistero di Sleepy Hollow”, datato 1999, anche lui vincitore dell’Oscar per la miglior scenografia (e cavolo, se l’è meritata tutta quella statuetta), con un cast composto anche da Christina Ricci (che tra l’altro ha interpretato la versione di Mercoledì Addams che conosciamo tutti, quella della bambina con il gusto per il nero e l’omicidio dei film “La famiglia Addams” 1 e 2, rispettivamente del 1991 e del 1993), e Christopher Walken nei panni del Cavaliere senza testa.

La storia è liberamente ispirata dal racconto di Washington Irving “La leggenda di Sleepy Hollow”, del 1820. Nel 1799, il razionale, scientifico e brillante agente di polizia Ichabod Crane viene inviato da New York nella comunità rurale di Sleepy Hollow, poiché sono stati rinvenuti tre cadaveri con le teste mozzate. La sua razionalità verrà messa a dura prova quando scoprirà che il killer con cui dovrà confrontarsi è un cavaliere senza testa resuscitato dalla tomba.

Posso dire a tutti gli effetti che l’atmosfera tetra in questo film è unica, per quanto, a mio avviso, molto meno macabra e oscura rispetto a quella di “Sweeeny Todd”. La foschia, gli alberi scheletrici della foresta, un cielo carico di nuvole e neanche l’ombra di un raggio di sole. Il sangue è sempre rosso vivo, qua sembra quasi acquistare una consistenza propria, una colorazione innaturale, più scura, seppur brillante. Come nel film che vi ho consigliato sopra, sarà il sangue l’unica cosa veramente colorata che vedrete. Ma l’atmosfera cupa viene smorzata in maniera intelligente dal personaggio di Ichabod Crane, tanto razionale quanto facilmente impressionabile e poco avvezzo alla vita rurale. Non è una figura goffa, affatto, ma il suo atteggiamento è naturalmente e inaspettatamente comico.

E con Tim Burton, almeno per il momento, mi fermo, perché, in realtà, quasi tutti i suoi film sono di stampo gotico, compresi i capolavori dell’animazione realizzati tramite la tecnica dello stop motion, come “Nightmare Before Christmas”, “Coraline” o “La sposa cadavere”, di cui vi parlerò meglio in un futuro articolo dedicato esclusivamente a questo metodo di regia, che io amo alla follia da quando sono piccola.

Inoltre, scriverò anche un articolo incentrato su Tim Burton, perché è uno dei pezzi da novanta del mondo cinematografico, la sua firma è riconoscibilissima ed è doveroso uno spazio dedicato interamente a lui.

Tornando ai film gotici, passiamo a un altro grande, enorme, immenso, Guillermo del Toro (uno dei miei registi preferiti, come Tim Burton), con uno dei film più importanti di questa categoria, un vero pilastro del genere horror spagnolo: “Il labirinto del fauno”, del 2006, vincitore delle categorie miglior scenografia, miglior fotografia e miglior trucco e acconciature agli Oscar del 2007. Siamo nella Spagna del 1944, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. La protagonista è una ragazzina di nome Ofelia (interpretata da Ivana Baquero) che, insieme alla madre incinta, si trasferiscono temporaneamente presso la casa del nuovo marito di lei, in mezzo alle montagne. Per sfuggire dalla realtà, poiché anche la situazione familiare non è affatto rosea, Ofelia si addentra in un labirinto, dove incontra un fauno, che le rivela una verità sconcertante. Da lì, Ofelia dovrà affrontare una serie di prove a cavallo tra il mondo reale e quello fantastico.

Come per Tim Burton, anche lo stile di Guillermo del Toro è super riconoscibile, decisamente molto più fiabesco rispetto al primo regista e, per assurdo, anche molto più attaccato a tematiche reali.

“Il labirinto del fauno” è un esempio lampante che reca perfettamente la firma del regista iberico. Letteralmente parliamo di una fiaba, con elementi al 100% fantasy e, come ho già spiegato all’inizio, allo stesso tempo grotteschi e a tratti terrificanti. Dai, quanto è “brutto” il mostro che si ficca le pupille nei palmi delle mani? Con quei versi che ricordano molto qualcuno che rantola o che viene sgozzato, mentre si aggira per i corridoi della sua dimora.

Distintiva, poi, la scelta cromatica, non solo in questa pellicola, ma in tutte quelle girate da Guillermo del Toro: il mondo o la creatura fantastica risulta essere sempre più colorato, più “vivo”, rispetto al mondo reale.

Ne “Il labirinto del fauno” non sono gli abitanti del sottosuolo a essere raffigurati come dei mostri, ma i soldati che combattono in guerra. Il mondo reale è davvero crudele e questo film ne è la rappresentazione fatta e finita.

Altro esempio perfettamente riuscito di Guillermo del Toro in fatto di cinema gotico è sicuramente “Crimson Peak”, del 2015, con un cast composto da Mia Wasikowska (che tra l’altro interpreta Alice in “Alice in Wonderland”, film di Tim Burton sempre con Johnny Depp e Helena Bonham Carter), Jessica Chastain, Tom Hiddleston, Charlie Hunnam e Jim Beaver.

Nella New York del 1901, Edith Cushing (Mia Wasikowska) è un’aspirante scrittrice che vuole realizzare le sue storie usando i fantasmi come metafore e non come entità vere e proprie. Eppure, lei è abituata alle figure spettrali, visto che da piccola aveva visto lo spirito della madre defunta, mentre la avvertiva di stare alla larga da Crimson Peak. Un giorno incontra il baronetto Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), recatosi a New York proprio per parlare con il padre della giovane, speranzoso di ottenere da quest’ultimo un finanziamento per il miglioramento di un suo macchinario capace di estrarre l’argilla rossa. Nonostante le avversità, tra i due comincia una storia d’amore… ma cominciano anche ad accadere fatti molto strani, soprattutto quando la ragazza si trasferisce nella villa appartenente a lui e a sua sorella (Jessica Chastain).

Qui, il marchio cromatico di Guillermo del Toro si trova subito nella realizzazione dei fantasmi, molto particolari, ben curati e dettagliati, diversi dall’immaginario collettivo. (Direi che in futuro dovrò scrivere un ulteriore articolo incentrato su questo regista)

In “Crinmson Peak” il gotico sprizza da tutti i pori, a partire dal piccolo maniero degli Sharpe, ormai quasi in rovina, poiché richiama le location spettrali tipiche dei romanzi gotici.

E sempre parlando di storie gotiche e di racconti di fantasmi, un altro esempio per eccellenza è sicuramente il riadattamento cinematografico del romanzo “La donna in nero”, scritto da Susan Hill e pubblicato nel 1983. Il film, intitolato appunto “The Woman in Black”, è uscito nel 2012, sotto la direzione di James Watkins e sceneggiato da Jane Goldman. Nel cast figurano Daniel Radcliffe (per gli amici maghi, Harry Potter) e Ciarán Hinds.

Siamo catapultati nell’Inghilterra dei primi del Novecento, il giovane avvocato vedovo Arthur Kipps viene incaricato di occuparsi delle carte inerenti all’eredità lasciata da Alice Drablow, una cliente dello studio per cui lavora, deceduta da poco. Per portare a termine questo compito, deve recarsi al villaggio dove abitava la signora, lasciando il figlio di quattro anni da solo con la tata a Londra. Appena arrivato al villaggio, scopre che circolano strane voci sulla villa della signora Drablow, ubicata nel bel mezzo di un’immensa palude e collegata al centro abitato tramite una sola stradina che è spesso impraticabile, a causa dell’innalzamento della marea e della fitta nebbia che la circonda. Nel frattempo sono morti e continuano a morire in maniera misteriosa alcuni bambini del villaggio.

Nella magione della signora Drablow si aggira una figura spaventosa e spettrale, una donna totalmente vestita di nero.

Io ho letto anche il romanzo e posso dire che il film, seppur costretto ad adottare alcuni accorgimenti cinematografici che forse hanno un po’ snaturato il vero significato che si celava dietro la donna in nero, ha un’atmosfera estremamente affascinante. Lo spirito che vaga per i corridoi bui della villa è davvero spaventoso, da far rizzare i peli per l’inquietudine. Si ha quasi la sensazione di poter respirare realmente quell’aria salmastra e umida, di sentire sulla propria pelle il freddo, il fango e la location è qualcosa di magico, talmente è lugubre. Un’aura funerea permea tutta la storia, facendoci quasi sentire costantemente in lutto e con il fiato sospeso.

Consigliata anche la lettura del libro che risulta essere, paradossalmente, estremamente simile e totalmente diverso dal film. Capirete voi il perché, non ve lo sto di certo a spiegare!

Ma se volete un altro adattamento cinematografico di un romanzo gotico, ecco un film che i più navigati in fatto di cinema si stavano aspettando: “Il ritratto di Dorian Gray”. L’omonimo romanzo è stato scritto da quel “figlio di nessuno” di Oscar Wilde nel 1890. Il primo riadattamento risale al 1945 (altro che vintage! Qua, tra “Nosferatu” e “Il ritratto di Dorian Gray” si toccano vette del passato estreme), con la regia di Albert Lewin e un cast composto da Hurt Hatfield, dalla mitica, leggendaria e sempre di classe Angela Landsbury (che la nostra cara Signora Fletcher riposi in pace), George Sanders e Donna Reed.

Con tutta probabilità, conoscerete sicuramente l’adattamento più recente e forse più famoso, quello del 2009, con la regia di Oliver Parker, la sceneggiatura curata da Toby Finlay e un cast costituito da Ben Barnes nei panni dell’eterno giovane e bello Dorian Gray, Colin Firth, Rebecca Hall e Ben Chaplin.

La storia credo la conosciate tutti, ma per sommi capi: Dorian Gray è un bel giovane dell’epoca vittoriana sotto l’ala protettrice di Lord Henry Wotton. Dorian accetta di farsi fare un ritratto che immortali la sua bellezza e, stuzzicato dalle parole di Wotton, decide di vendere l’anima al diavolo affinché tutti i segni della vecchiaia e dei suoi vizi si trasmettano solo al quadro, mentre lui rimarrà giovane e bello per sempre.

Anche questo è un grande classico non solo della letteratura, ma del genere gotico in generale. La visione è obbligatoria per tutti i cinefili.

E visto che all’inizio dell’articolo ho citato il vampiro per eccellenza, Dracula, ecco a voi un ulteriore adattamento cinematografico di questo personaggio, questa volta firmato da quel super regista che è Francis Ford Coppola e dallo sceneggiatore James V. Hart: “Dracula di Bram Stoker” (no, non ho sbagliato a scrivere, il titolo è proprio questo, recante il nome dell’autore dell’opera letteraria originale, risalente al 1897).

Anche questa pellicola è vintage, nata nel 1992, con Keanu Reeves, Gary Oldman (nei panni di Dracula), Winona Ryder e una comparsa della bellissima Monica Bellucci.

Forse non serve che vi spieghi la storia di Dracula, ma per i profani siamo nel 1897 e l’avvocato Jonathan Harker deve occuparsi della gestione di una serie di acquisti di immobili a Londra, effettuati da uno strano conte che risiede in Transilvania (accidenti, fare l’avvocato nelle opere gotiche porta iella… un mestiere alquanto adrenalinico!). Egli, in realtà, non è altri che il Conte Draaaaaacula minghia (no, questo era Aldo Baglio…).

Dicevo, Dracula era un cavaliere romèno che, tornato vittorioso da una delle sue battaglie nel 1462, scoprì che la moglie si era suicidata, convinta che lui fosse morto sul campo. Accecato dalla rabbia e dal dolore, soprattutto per come i cristiani additavano la defunta, in quanto suicida, egli rinnegò Dio e si trasformò nel vampiro che noi tutti conosciamo. E indovinate un po’ il culo di questo povero avvocato, costretto per lavoro a presentarsi al suo cospetto: il conte vede una foto della fidanzata del signor Harker e pensa che lei sia la reincarnazione della sua amata.

Da lì, un macello.

Questo film, pietra miliare del mondo cinematografico, non è solo gotico, ma di stampo decisamente erotico. Qui, per assurdo, il romanticismo grida a gran voce, plasmando l’idea perfetta di genere gotico.

Quanto può essere romantico un vampiro succhia sangue che uccide e inganna per conquistare quella che crede sia la sua anima gemella?

Beh… detta così ricorda molto “Twilight” (del 2008, anch’esso adattamento cinematografico del primo di una serie di romanzi scritti da Stephenie Meyer), anche se Edward è un vampiro che si nutre solo di sangue di animali, interpretato da un giovane Robert Pattinson, affiancato da Kristen Stewart, presa in giro per la sua espressività nel film e, invece, rivelatasi una grandissima attrice… muti bisogna stare, muti!

La trama di “Twilight” (mi fermo solo al primo film della saga) è decisamente semplice: per una volta, siamo ai giorni nostri. Bella è un’adolescente introversa e riservata che si innamora, guarda un po’, di un suo compagno di scuola vampiro, Edward, appunto.

E per quanto possano essere nati diversi meme che “perculano” questo film, io lo trovo davvero carino! Adatto per il pubblico a cui era predestinato: le ragazzine. Noi tutte, all’epoca, eravamo impazzite per questo triangolo amoroso tra un vampiro e un licantropo (Taylor Lautner) ed è piacevole riguardarlo ancora oggi. I toni freddi usati per le riprese che rispecchiano appieno le caratteristiche dei vampiri, l’intesa palpabile che c’è tra i due, i tre antagonisti e la colonna sonora, sono tutti fattori vincenti e la regista Catherine Hardwicke, con la sceneggiatura di Melissa Rosenberg è riuscita a sfornare un prodotto che verrà ricordato in eterno.

E per l’ultimo consiglio della giornata, anche se di opere di stampo gotico ne esistono e anche tante (di sicuro ve le proporrò in futuro), ecco un’altra serie televisiva.

Voglio creare un certo hype: si tratta di qualcosa di spaventoso, terribile, agghiacciante. Instilla terrore nello spettatore, i più temerari sono invitati a guardarla con la luce spenta di notte. E non solo: essa è tratta da un romanzo, risalente al 1959, scritto da Shirley Jackson e considerato da tutti come la miglior opera letteraria horror sui fantasmi del secolo.

So che qualcuno di voi ci è già arrivato: “The Haunting of Hill House”, del 2018, diretta da Mike Flanagan. Nel cast possiamo trovare Michiel Huisman, Elizabeth Reaser, Oliver Jackson-Cohen, Kate Siegel e Victoria Pedretti.

Non posso dirvi molto sulla trama perché sarebbe uno spoiler unico. Vi posso solo accennare che c’è una famiglia e una casa infestata. Detta così può risultare estremamente banale, ma fidatevi, non lo è affatto.

Oscura, tetra, ricca di entità prese direttamente dagli incubi di chi guarda. Questa è una di quelle pochissime serie televisive che mi ha presa sin da subito, quei 10 episodi, da cui è costituita, me li sono pappati in un’unica nottata.

Rimarrete con il fiato sospeso fino alla fine, scervellandovi per capire che cosa diavolo stia succedendo. Non ci sono jumpscare, è la costruzione di tutta la vicenda, accompagnata da doti attoriali pazzesche, a rendere il tutto così pauroso.

Dovete assolutamente vederla, è magica!

Direi, per oggi, basta così. Come al solito, vi ho dato un bel po’ di suggerimenti e sicuramente saprete cosa guardare nei prossimi giorni se, anche voi come me, siete amanti del genere horror gotico.

 

Quindi… pop corn alla mano e buona visione!

Scritto da Camilla Marino